Photoshop Castles


Questa è una delle fotografie appartenente alla raccolta degli scatti al Castello di Maranello che trovate sotto.
E' un peccato che non sia mai stato valorizzato come meriterebbe né che si riconosca a questo il legame profondo che lo vincola alla storia stessa del paese.


Photoshop Castles

Canzoni che segnano un'esistenza

Era il 1997, imparavo a conoscere uno dei gruppi cui sarei rimasto più affezionato in assoluto, gli Oasis.
Col tempo ho avuto modo di introdurmi ad altri generi, seguire diversi trend, talvolta per meno di un quarto d'ora, ma i fratelli Gallagher sono sempre rimasti i miei numeri uno.


Ai tempi non era così facile accedere ad internet, emule e youtube erano ancora sconosciuti, non era per nulla un'operazione scontata avvicinarsi a determinati gruppi, specie stranieri. C'era MTV (ma non i vari canali satellitari che ci sono ora) e c'erano orribili giornalacci di tendenza che parlavano o troppo bene o troppo male delle band di copertina. Bisognava accontentarsi di quelli.
Ecco quindi che mi registravo speciali di notte che non avevo però la pazienza di vedere il giorno dopo, sicché, in pratica, li guardavo "live", fottendomi il sonno, fottendomi la notte, ma con mucho gusto; che il giorno dopo non capissi un cazzo e non vedessi l'ora di andare a letto non era più importante.

E poi cercare di capire l'inglese di Manchester, contrario a tutte le regole che mi avevano insegnato a scuola: fantastico. Acquistare tabulature (perché solo qualche amico aveva internet e comunque di spartiti da poter scaricare ce n'erano ancora pochi) finché non le avevo completamente memorizzate e accorgermi che iniziava a bastarmi l'orecchio.

Fino al quinto album ho comprato ogni singolo degli Oasis.
Li ho tutti, anche quelli giapponesi e americani, e dentro si trova della roba di una bellezza unica, con cui altri gruppi, oggi come oggi, ci avrebbero costruito una carriera sopra. E non lo penso certo per la mia massima stima nei confronti dei fratelli, lo dico con il grande rammarico che provo ogni volta che ascolto band definite come next best things che inesorabilmente tramontano dopo tre pezzi.
Non è certo un caso se sia stato pubblicato un album di raccolte dei lati-b e l'anno scorso sia stato portato in giro uno show basato sulla rivisitazione di pezzi praticamente sconosciuti a quelli che si sono avvicinati agli Oasis negli ultimi tempi, ma adorati dai fan della prima ora.

HALF THE WORLD AWAY è uno di quei pezzi.
Lato b del singolo di WHATEVER, contenuto in THE MASTERPLAN, e colonna portante dello show dello scorso anno. Raramente gli Oasis eseguivano questa canzone durante i live, la natura strettamente acustica della canzone avrebbe imposto una "rottura" del concerto elettrico, distorto e disturbato, per cui, a meno che non venisse estemporaneamente presentata in versione crunch era ben difficile ascoltarla. Non per questo però ha mai perso il suo grande valore.

Durante lo spettacolo dell'anno passato, con Noel all'acustica (la sua migliore dimensione, a mio parere: come suonare una chitarra folk con stile senza strafare), Gem al distorto e al pianoforte e un turnista alla batteria ad accompagnare il tutto, sentire canzoni a loro modo storiche, lati-b gloriosi, mischiate a grandi classici e a qualche novità è stato come tornare indietro. Una volta mi mettevo davanti alla tv, cassetta falcidiata dai rewind, imbracciavo la mia primissima chitarra (recuperata in soffitta, retaggio di famiglia di suonatori e bandisti, dalla cassa bombata dall'umidità e dal ponte storto causa l'azzardato montaggio di corde metalliche su una struttura classica) e suonavo con lui; l'anno scorso ero davanti al computer ma facevo lo stesso, anche se ora accordavo a orecchio la mia splendida Cort e sapevo ripartire a tempo senza dovere fermare la proiezione.

Meglio di ogni altra cosa, trovarsi all'improvviso a battere le mani alla fine dei due ritornelli.


Credevo d'essere solo io a farlo, anzi credevo d'essere solo io ad averlo sempre fatto, nella mia cameretta, quasi con imbarazzo, direi con amore addirittura. No, Noel si ferma, Gem e la batteria si interrompono e un'intera sala, me compreso anche se a distanza, a tempo, scandisce le due battute vuote applaudendo.
Ormai mi mettevo a piangere.
Sì, certe canzoni segnano un'esistenza, dieci anni che NON sono passati, dieci anni in cui ho ampliato i miei gusti, decuplicato i miei cd, colto e seguito sfumature ovunque, ma rimasto infettato da un giro di Do puro british pop. Un migliore orecchio mi ha anche "suggerito" che forse c'era un SOL7 al posto di un MI7, non essermene accorto prima un po' mi ha sorpreso, che vergogna!

So here I go, I'm still scratching around in the same old hole
My body feels young but my mind is very old

So what do you say?

You can't give me the dreams that are mine anyway

You're half the world away

Half the world away

Half the world away

I've been lost, I've been found but I don't feel down.


Eh sì, non è cambiato niente.
Mi sono perso, mi sono ritrovato e non mi sento più giù.
(un attimo che batto due volte le mani)
Dieci anni dopo più che mai.


Alison Goldfrapp - Seventh Tree


“Seventh Tree è romanticismo inglese con un pizzico di sole californiano”
(Alison Goldfrapp)



Direi che non ci sia nulla da aggiungere a quanto già detto dalla stessa Goldfrapp circa la "tecnica" dell'album.
Altro?
No.
Ero rimasto a pezzi come NUMBER ONE (canzone strepitosa:
nomen omen) e OOH LA LA; ora ascolto alcune tracce di questo nuovo album, SEVENTH TREE, e non ci capisco più un cazzo.
Se devo dire la verità non avevo mai capito quasi niente di Goldfrapp, non avevo neppure capito che fossero un duo, non avevo capito a che genere si rifacesse(ro), che stile avesse(ro), e se, soprattutto indovinasse(ro) brani brillanti per talento o per caso.

Goldfrapp è un progetto affascinante. Lei ha uno stile che non saprei come definire, talvolta sembra un "drugo" donna, sembra, per come ama abbigliarsi, la risposta femminile ad Alex Delarge, altre volte pare una hippie reduce benvestito, altre ancora un moschettiere francese dal piglio glam-rock..
Wikipedia classifica il genere di Goldfrapp come elettronica, e fino agli album precedenti, era certamente la categoria rispondente. Ma ora? SEVENTH TREE è un album di ballate calde e soffuse, dove Alison mette in mostra tutto il suo eclettico talento. E' un'artista, un'artista per davvero, di quelli che fanno Arte, che un bel giorno si svegliano e decidono che:
"al bando i campionatori e via ad archi, chitarre acustiche, tastiere molto beatlesiane e richiami lo-fi".
Magari non c'è molta carica, e proprio per questo mi ha ricordato, a tratti, BALLADS OF THE BROKEN SEAS di Isobel Campbell e Mark Lanegan, nonché alcuni episodi della nuova paladina del poppettino inglese, Kate Nash (che tra l'altro ora mi rifa anche SEVEN NATION ARMY e FLUORESCENT ADOLESCENT delle scimmiette artiche e non so se essere contento oppure no... F.A. è veramente orribile, però è stata simpatica a coverizzarla). Tuttavia quel che colpisce è l'alchimia omogenea dell'album, caratterizzata da una sobrietà ed un'eleganza degne dei migliori maestri pop britannici.

Sono le classiche ballate d'Albione, niente di più, niente di meno: a me piacciono.
Cantate, ma soprattututto interpretate con il calore di Alison Goldfrapp acquistano quel qualcosa in più.

A&E: molto, molto carina. Non si è usciti vivi dal video di AROUND THE WORLD dei Daft Punk, ma vabbè!
ROAD TO SOMEWHERE: la mia canzone della settimana scorsa.

Machine Gun - Portishead



Potrei star qui e dire a chi mi legge che i Portishead sono (stati) forse il gruppo più intraprendente della scena trip-hop di Bristol, assieme a Tricky e ai Massive Attack, che si tratta del loro terzo lavoro, che Beth Gibbons e Geoff Barrow sono geniali, ecc...

Ormai ve l'ho detto, però non c'è quasi nulla di interessante in tutto questo.
Molto più avvincente è cercare di immaginare questo pezzo,
"The remedy, we'll agree, is how I feel".


Uno dei due sceriffi del MEF ha detto, testuali parole, che:"sentire il nuovo singolo dei Portishead è come infilare le dita nella presa della corrente". 1
Ecco, mi pare una buona definizione, ed è anche difficile che Checco sbagli, ma se si può migliorare allora si possono dire poche cose, ma voglio provarci.

  • Immaginate di essere in macchina, di scappare via diretti non si sa dove, di fuggire dall'apocalisse che è alle spalle, che alza la parabola proprio verso la direzione che avete deciso di prendere. Beh, se una musica potesse descrivere queste sensazioni, probabilmente sarebbe questa. Disturbo, ansia, imminenza della catastrofe, paura, gelida paura.
  • Siete dinnanzi ad un valico, un passo, un confine mai superato. E' il crepuscolo. Oltre la luce che sta svanendo, oltre la frontiera, terre inesplorate. Ecco, i Portishead, ammesso e non concesso che di bussola ne abbiano mai avuta una, l'hanno smarrita e ora sono con voi, davanti a quel limite, pronti ad abbandonare ogni terra conosciuta.
  • Pensate a 2001, Odissea nello spazio. Ricordate quando HAL dice al Dottor Bowman:"Ho paura, David"? Se quel momento avesse avuto una colonna sonora, poteva essere un qualsiasi istante di Machine Gun che andasse dal 2'41'' in poi.
Era da quando mio padre mi disse:"Smàtla ed scultér i fradel Callaghan 2 e scòlta ché lor!" che non sentivo qualcosa di così sconvolgente.
Erano Cochi e Renato, e la canzone era E LA VITA, LA VITA.
Prepariamo l'ombrello, c'è da affrontare l'apocalisse.

Note
1. Checco è anche l'autore di un'altra grande definizione:"Blue Monday è l'unica canzone che se ascoltata in macchina ad un certo volume, è in grado di trasformare la macchina stessa in un elicottero".
2. I fradel Callaghan sarebbero i FRATELLI GALLAGHER.


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