Visioni d'autunno

Premessa bibliografica.
Tutti gli estratti appartengono a "Bella gente d'Appennino", Giovanni Lindo Ferretti, Edizioni Mondadori, 2009.




Sono onesto.
All'inizio della lettura ero molto deluso. Non capivo dove volesse andare a parare. Poi ho voluto leggerlo tutto, e ho fatto bene.

C'è chi scrive e -capitolo dopo capitolo- è costantemente bravo, costantemente mediocre, costantemente scarso. C'è chi scrive (e si chiama Giovanni Lindo Ferretti) che è tratti è lezioso, pesante, noioso, brutto, diciamolo, brutto, ma in altri punti è LETTERALMENTE superbo.
Be’, io mi tengo la farina e la crusca la lascio ai detrattori.
Finché esprime idee riguardanti l’attualità, idee magari già sentite, pur non predicando niente di nuovo lo fa in maniera unica. Non esiste altro scrittore, cantante, artista in grado di coniugare i propri pensieri secondo la declinazione di Ferretti.
Quando invece parla dell'Appennino, possiamo toglierci il cappello e accorgerci (parlo per me, ma per me è davvero la prima volta) che è possibile -udite-udite!-, rappresentare in forma scrittoria (non solum sed etiam) l'Appennino in autunno. Personalmente non credevo fosse neppure verosimile avvicinarsi all'idea, sintetizzare con la penna ciò che gli occhi potevano solo trascendere e non certo comprendere. Figurarsi se uno dei sensi non nobili potesse essere in grado di descrivere ciò che uno dei cinque sensi naturali non era mai riuscito ad esaurire.

"Anno di disgrazia 1934. Tocca a Orazio piangere le sue lacrime [...] Se sai di libertà e sei libero quello che viene ti può anche andare male, ma vale. Se sai di libertà e sei in gabbia su cosa puoi contare? Sulla buona creanza del carceriere? La libertà vive in terra straniera e la mia patria è la mia galera. "
("Bella gente d'Appennino", Giovanni Lindo Ferretti, Edizioni Mondadori, 2009
)


"Per tutti brusca e striglia, criniere azzerate, taglio piatto della coda sopra il ginocchio. Occorre marcare il proprio lutto a sé e agli estranei e bisogna pur ricominciare facendo qualcosa."("Bella gente d'Appennino", Giovanni Lindo Ferretti, Edizioni Mondadori, 2009) Madonna quanto è vero.

"La musica può legarsi al meglio dell'uomo, ma si adegua benissimo al peggio."
("Bella gente d'Appennino", Giovanni Lindo Ferretti, Edizioni Mondadori, 2009)

"Comunque la si rigiri, e si può rigirare all'infinito, trattasi sempre di braghe o di gonne."
("Bella gente d'Appennino", Giovanni Lindo Ferretti, Edizioni Mondadori, 2009
)


"...e ogni nuovo mondo comincia e finisce sempre in una fossa scavata lì per lì ad occultare un cadavere o in grandi fosse progettate ed eseguite scientificamente."
("Bella gente d'Appennino", Giovanni Lindo Ferretti, Edizioni Mondadori, 2009)

"...sa che la verità è come l'ortica: chi la sfiora ne è punto, bisogna afferrarla saldamente e non temere il bruciore."
("Bella gente d'Appennino", Giovanni Lindo Ferretti, Edizioni Mondadori, 2009)

E poi, il capitolo più bello " 'A' come Appennino, Alpe" che da solo vale il libro. E' stato difficilissimo scegliere quali estratti inserire perché ci sono intere pagine di pura poesia, davvero superba.

"[...] Nelle notti di sereno è tutto un reticolo di luci tra centri esplosi di bagliori come crateri in fiamme. Anche le montagne, nel buio che le avvolge, scoppiettano di luci ad esibire una presenza elettrica che maschera l'evidente: ci sono più lampioni che gente."
("Bella gente d'Appennino", Giovanni Lindo Ferretti, Edizioni Mondadori, 2009)

Terra di passaggio, ora. Un pugno di monti tra il piano padano e il golfo di La Spezia; un leggero fastidio da autostrada...
("Bella gente d'Appennino", Giovanni Lindo Ferretti, Edizioni Mondadori, 2009)

"Il tempo che corre, il tempo moderno, corre sul piano, scivola in basso. Ci attraversa veloce, rettifica le strade, scava le gallerie, allinea i ponti e due volte l'anno, come piena di fiume, ci sommerge nel tempo del riposo, dell'ozio, delle feste. Fulmineo nel solstizio d'inverno insegue la neve sulle piste ma tracima, s'allarga e tutto copre in solleone: le vacanze, le ferie, la gioia che s'annoia di chi torna."
("Bella gente d'Appennino", Giovanni Lindo Ferretti, Edizioni Mondadori, 2009
)


"E' con la notte di San Giovanni che la bella stagione esplode in lunghe giornate calde e notti carezzevoli. I falò che l'illuminavano non facevano altro che sottolinearlo, invocarlo, renderlo esplicito."
("Bella gente d'Appennino", Giovanni Lindo Ferretti, Edizioni Mondadori, 2009
)


"...quella che era considerata la cattiva stagione è diventata buona, anzi perfetta. Si preannuncia, minacciosa, coi primi temporali di fine agosto favorendo l'esodo e fiorisce sfarzosa nei colori d'autunno. L'aria limpida, tersa, acuisce le tonalità cromatiche sulla terra e accentua le profondità del cielo. Quando la prima neve imbianca le cime, la brina, di mattino, fa luccicare un paesaggio austero e sfavillante. La terra in forma di tappeto aureo bronzo, scricchiolante di foglie, le bacche come gemme in un sottobosco esposto spoglio allo sguardo. Un emozione estetica che sopravanza ogni ricerca artistica."
("Bella gente d'Appennino", Giovanni Lindo Ferretti, Edizioni Mondadori, 2009) (Vedi sopra)

"Volevamo le strade per essere in contatto, ci hanno risucchiato in basso e le strade poi non bastano mai. Volevamo le comodità, ci siamo accomodati ovunque purché fosse altrove."
("Bella gente d'Appennino", Giovanni Lindo Ferretti, Edizioni Mondadori, 2009
)


"…sullo sfondo il casello di Calatrava, iconografia pop di un’agonia politica. […] la stella, residuo ingombrante di anni di piombo, è stata ceduta, un po’ di soppiatto, da cattolici adulti e atei romantici alla mezzaluna: moschee come laici presidi sul piano padano che fa del maiale un suo vanto. Ben mesto tramonto per la città la più filosovietica dell’Impero Western."
("Bella gente d'Appennino", Giovanni Lindo Ferretti, Edizioni Mondadori, 2009
)


"Il peso delle parole, la non scontatezza del linguaggio comune cui viene dato un nuovo ma allo stesso tempo più che naturale significato. Tutto diventa poesia. Parliamone bene, parlatene male: Giovanni Lindo Ferretti, Bella gente d’Appennino. Sono circa una quindicina di citazioni e il libro costa 17 €. Ditemi voi se ciascuna di queste vale poco più di un euro."

"Giorni di sole bianco blu in taglio netto
pungono gli occhi
per lucida purezza
Giorni che non servono parole
Il fiato si condensa in sbuffi di vapore." ("Bella gente d'Appennino", Giovanni Lindo Ferretti, Edizioni Mondadori, 2009)

El Taconazo de Old Trafford

E’ un paradosso definire fuori dagli schemi chi gli schemi li dettava meglio di qualsiasi altro playmaker della propria epoca. E’ quantomeno curioso che l’austero e rigoroso Fabio Capello (per stessa definizione del Dizionario Zanichelli della Lingua Italiana “Fabio Capello”: [Fa-bi-o-ca-pél-lo] s.m. 1. dicesi di persona avara di complimenti e indisponente verso chiunque) abbia considerato 'un giocatore tatticamente perfetto' quello stesso giocatore che per principi (talvolta anche) incompiuti, bizze caratteriali e personali interpretazioni del calcio abbia fatto impazzire ben tre commissari tecnici dell’Argentina costringendoli uno via l’altro ad escluderlo dalla Selecciòn. Considerando che il furlàn è stato uno dei pochi a mettere in castigo gente come Marco Van Basten, Ruud Gullit, Pep Guardiola, David Beckham, Antonio Cassano, Zlatan Ibrahimovic e Alessandro Del Piero, non proprio gentaglia, c’è davvero da domandarsi cosa avesse di straordinario il vicecapitano del Real Madrid per non essere messo al palo a causa del suo alto profilo, della parlantina sciolta e dei capelli lunghi.
E’ davvero strano.
Qualcuno ha detto che sia stato il vero -e finora unico- erede di Diego Armando Maradona.
Sono molto più che d’accordo, e non mi limito a riconoscerne la figliolanza tecnica e carismatica, ritengo ne sia stata la più improbabile evoluzione. La sola possibile.

Genio e sregolatezza, dunque?

Il genio c’era, c’era tutto.

Per maggiori informazioni chiedere a Henning Berg e Roy Keane, poveri e malcapitati Diavoli Rossi buggerati dai magnetici tacchetti del numero 6 madridista in uno dei quarti di finale più belli della -una volta nomata- Coppa dei Campioni. Nell’eventualità di un incontro con lo scandinavo prego farsi dettagliatamente specificare cosa sia successo non solo in fascia ma anche lungo quella mai così labile linea di fondo campo e da quale cilindro -gentilmente confezionato dal Nostro- sia stato tirato fuori il coniglio che Raul (sì, proprio lui, il già allora eterno Raul Gonzales Blanco, nomen omen) non ha dovuto far altro che pigliare per le orecchie ed esibire al gentil pubblico.


Manchester non è certo celebre per lingua e letteratura; è già tanto affermare che parlino correttamente e correntemente “inglese”. Tuttavia ogni mancuniano sa mettere in fila tre parole di spagnolo e poco importa se due di queste siano uno un articolo e l’altra una preposizione semplice: el, taconazo e de. “El taconazo de Old Trafford”. Chieder loro di tradurre anche Old Trafford effettivamente sarebbe stato troppo. Lo sarebbe stato per chiunque. Ma i primi tre vocaboli ci sono, e chiunque ami il calcio oppure odi il Manchester United (le due cose, si badi, non sono esclusive) sa che è del Principe di Buenos Aires di cui stiamo parlando. A titolo informativo il Principe fu uno degli undici che a Maggio sollevò la Coppa, venendo pure eletto migliore giocatore di quella stessa edizione.

E la sregolatezza c’era? Anche, sì.

Tuttavia non menzioniamo nessuna Mano de Dios, nessuna droga più o meno pesante più o meno dopante, nessuna cura dimagrante salva-vita, nessun figlio non riconosciuto in giro per Napoli, nessuno sputo in telecamera dopo una corsa sfiancante di 50 metri, nessuna offesa a tutto il parentado femminile dei giornalisti di mezza Argentina. Niente di tutto questo. Parliamo di un “Principe”, e lo sottolineiamo almeno due volte, un Principe con tanto di vizi e capricci. Ed era in queste particolarità che andava ricercato il suo essere al di fuori delle regole, al di fuori degli schemi.

Ma attenzione, il suo atteggiamento sportivo e personale non era tout-court contrario alle regole. Era al di sopra delle regole, le interpretava a modo proprio, cercando di riscriverle. Non era un principe solo per eleganza stilistica, tecnica e classe, lo era anche per ostinazione nel adattare il mondo e il gioco intorno a quelli che erano i suoi metodi e le sue caratteristiche.

Fernando Redondo, "El Principe"

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Nel 1998, mondiali francesi, Redondo rinunciò alla nazionale argentina perché “Pur sapendo che a Passerella piace la gente con i capelli corti, io non ho mai pensato di tagliarli. Se non va bene, vorrà dire che mi guarderò i mondiali dalla poltrona di casa”. Se pensiamo alle Cassaneidi attuali, possiamo solo considerare FantAntonio da Bari Vecchia un autentico piagnone. Ma questo è niente.

Nel 1990 rifiutò la convocazione dell’allora Commissario Tecnico Biliardo per privilegiare gli studi universitari, per la cronaca mai conclusi. Quello che per tutti i giovani calciatori è il massimo sogno auspicabile, per lui era una sorta di impedimento, un ostacolo.

Quattro anni dopo, in America, in seguito alla squalifica per doping inflitta a Maradona, ne prese il posto, consegnando alla memoria collettiva una sconfitta degna di lodi sperticate, Romania – Argentina 3-2, considerata una delle più spettacolari partite mai disputate nella massima rassegna calcistica.

Tanto per rimanere in tema, l’Argentina compare più volte nel novero delle più spettacolari partite di tutti i tempi, ed una di queste è l’indimenticabile Argentina – Inghilterra 2-1 del 1986, dove “El Pibe de Oro” riuscì, unico nella storia pallonara, ad esibirsi in una delle giocate più straordinarie di sempre ed una delle peggiori, più irriverenti e più irregolari furberie di ogni tempo. Per chi non conoscesse le basi della storia del calcio, parliamo de La Mano de Dios (l’unico gol irregolare ad essere celebrato così grandemente, probabilmente l’eccezione alla regola de facto e de iure ) e del gol scaturito dopo azione personale di 50 metri dove a seconda delle interpretazioni fu possibile vedere due cose in una: Diego Armando che dribblava metà compagine inglese e metà compagine inglese che non era affatto interessata ad impedirgli di mettere a segno uno delle più belle reti mai realizzate, ma solo a vendicarsi del gol ingiustamente subito azzoppando in tutti i modi (e si sa, i picchiatori inglesi sono picchiatori per davvero, e sono inglesi per davvero) Maradona.

E’ bello il calcio, ne è bella la storia, il suo ripetersi mai ugualmente.

Purtroppo o per fortuna, non è mai nato e non nascerà nessun’altro Diego Armando Maradona.

Leo Messi? Lo sto ancora veramente aspettando, faccio ancora troppa fatica a staccare gli occhi da Xavi e Iniesta per concentrarmi completamente su di lui. E poi cosa possiamo aspettarci da lui? Un’altra Mano de Dios? Un’altra Napoli in festa (per piasér…)? Altri gol da centrocampo come se piovesse? Punizioni battute senza rincorsa calibrate direttamente nel sette?

Il calcio non si deve ripetere ugualmente, non deve dare dei precedenti sebbene sia così affascinante cercarne di continuo.

Genio e sregolatezza, ma in maniera diversa.So lo Redondo è stato l’erede di Maradona. A suo modo, a suo gusto. C’era un solo modo per evitare d’addossarsi la tremenda eredità del Pibe de Oro. Scansarla. Chiunque venga ora si crogiola nel sentirsi etichettato come il nuovo Maradona. Ma Redondo è stato l’unico, ed è stato l’unico perché è stato l’unico a non pensare a quanto pesasse venire dopo Diego.

Non ha vinto la Coppa del Mondo; d’accordo. Ma se per questo nemmeno altri signori del calcio per niente minori quali -che so- Paolo Maldini o Roberto Baggio l’hanno mai vinta. Nemmeno Platini l’ha mai alzata. Ma non per questo la sua bacheca è rimasta vuota. A ben guardare c’è più roba nella sua che in quella di Diego.El Principe ha vinto più volte la Liga, ha vinto tre Champions League, due da protagonista, e una da comparsa. Nella sua sala dei trofei, di coppe da lucidare ne ha ‘so-quante.

Una comparsata illustre, quella con i colori rossoneri, con il 5 sulla schiena.

Andatosene dal Real dopo aver contribuito a ridare lustro ad una squadra più blasonata che competitiva approda al Milan nell’estate del 2000. A Madrid si sentiva di troppo e a Milano, in una squadra in ricostruzione ma con forti potenzialità, l’esperienza di un vecchio come Redondo sarebbe ancora valsa qualcosa. Tuttavia si infortuna subito e la convalescenza è lunga, lughissima.

Torna due anni dopo in occasione di una partita di Coppa Italia contro l’Ancona, squadra cadetta. Si gioca al Del Conero di Ancona, stadio nemmeno lontano parente del Santiago Bernabeu, dell’Old Trafford o del Giuseppe Meazza in San Siro, ma stadio dal valore evocativo per i cuori rossoneri. Là era tornato Van Basten dopo l’infortunio, là sarebbe tornato Redondo.

Fa ridere leggere la formazione del Milan che quella sera scese in campo contro i biancorossi: Abbiati, Helveg, Chamot, Aubameyang, Dalla Bona, Redondo, Brocchi, Serginho, Leonardo, Tomasson (Fiori, Nesta, Simic, Pastrello, Shevchenko, Pirlo, Favero).

Nei due anni di recupero dall’infortunio Redondo non ha mancato di far parlare di sé, rifiutando lo stipendio del Milan per rispetto nei confronti dei propri datori di lavoro: la mutua non era un lusso tipico di un Principe. Ancora, quando il veterano Billy Costacurta, dopo un anno sabbatico negli States volle riprendersi il Milan, Fernando chiese di potergli restituire il 5, la storica maglia del brianzolo, in segno di onore verso chi di quel numero aveva scritto la storia. Costacurta, non certo un signor nessuno, la cui unica colpa -se così si può dire- è stata quella di aver giocato (comunque quasi sempre da titolare) a fianco di autentici fuoriclasse difensivi che ne hanno sempre adombrato le immense qualità (basti pensare a Baresi, Maldini e Sant’Alessandro Nesta) glie la lasciò. Probabilmente gli era bastato il gesto.

El Principe, anche senza giocare, continuava a seguire regole tutte sue, ideali assolutamente non banali, atipici di un mondo che andava completamente da tutt’altra parte. Quando Redondo fu pronto per giocare, si trovò la strada sbarrata da un giovane centrocampista dalla innovativa e sorprendente collocazione tattica, un promettente quanto ancora incompreso Andrea Pirlo. Redondo s’arrese in panchina di fronte allo stranito cappellone bresciano. A ragion veduta e col senno di poi, s’arrese, certo, infine s’arrese. Ma non all'infortunio, all'agonia di non poter giocare, ai nervi distrutti. S'arrese ad un calciatore e non certo all’ultimo degli scarsi, anzi, ad un talentuosissimo 10 di nuova generazione, per niente genio e sregolatezza, o meglio, un genio preciso e puntuale (come i suoi lanci) e una sregolatezza che andava ricercata questa volta nell’atteggiamento schivo e taciturno.

Genio e sregolatezza, dunque?

Tutto si ripete, ma è un bene se lo fa in maniera diversa.

Redondo deve essere considerato uno degli ultimi fantasisti propriamente detti. Fantasioso nel modo di giocare e bizzarro nel modo di comportarsi. Ma, nonostante questo, è stato un perfetto e raro esempio di disciplina tattica. UNO degli undici, non IL dieci.

Fernando Carlos Redondo Neri, classe ’69, “Soprannominato il Principe per il suo pregevole stile di gioco, è considerato uno dei più grandi centrocampisti argentini di tutti i tempi. La rara classe, unita all’ottima tecnica ed alla genialità delle sue giocate, ne ha fatto un calciatore stimato ed ammirato da compagni ed avversari. Riusciva con la sua classe a sopperire alla lentezza di base. Redondo infatti non era certo un fulmine di guerra riguardo la velocità ma nonostante questo raramente gli avversari riuscivano a togliergli la palla.” (Wikipedia)

Gli invasori devono morire

E' rarissimo che io pubblichi un video, specie perché dopo averlo postato su Facebook è difficile ricevere commenti qui.
Ma lo metto ugualmente.
Lo metto per me, per riguardarlo ogni volta che rimetto occhi in questo blog.
Questo live è una cannonata.
Io devo vederli.
Quando al 56'' il batterista inizia a picchiare non ce n'è più per nessuno.

Portatemi all'ospedale, ve ne prego.

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