P.zza Crack-sì & Iraequiete



“Zè, dimmi la verità. Un anno fa avresti mai pensato che sarebbe successa una cosa così?”

Non riesco a raccontare quel che è successo per filo e per segno. Per cui scriverò parole e impressioni a caso.
Meglio infatti riportare immagini, che siano distillati di memoria, grandi o piccoli, quasi fosse il pensatoio di Albus Silente, che provare a descrivere.

Non ha nessuna importanza cosa abbia significato questo evento, che valore abbia avuto, che cosa si sia sentito, che festa fosse, che tre quinti delle persone che sarebbero potute venire fossero a Castagneto, e un altro quinto fosse all’Abbuffata a Maranello.

E non me ne frega un cazzo se tutta l’organizzazione dell’Abbuffata era in mano ai miei amati vicini di casa, porco diaz, basta calcio, cazzo! Menga, l’Abbuffata organizzala negli anni dispari, no? “Perché non sei venuto?” A parte perché dopo cinque anni tornavo su un palco e penso di aver fumato un pacchetto di sigarette a tempo di record causa l’emozione, ma anche perché alla tanto blasonata Abbuffata non c’era neanche una cazzo di vuvuzela.
O le cose le fai per bene, o non le fai.

Suonare, perché ho sempre suonato. Come tempo fa, ma con la consapevolezza di aver degli anni in più, di avere parole più belle da cantare, di suonare centomila volte meglio, di avere un basso coi fantacazzi pagato da me cui voglio bene come fosse il primo dei miei figli. Ma soprattutto con la consapevolezza di fare la musica che ho sempre voluto fare. Cazzo, che benessere.

Suonare a Pavullo. E dire che due anni fa m’ero ripromesso di non metterci mai più piede.
Grazie Benny per avermici riportato. M’hai fregato dieci anni fa, mi hai fregato anche ‘sto giro.
Saranno le tette, sarà che dopotutto mi fido di te.

Condividere il palco con Santu (e in seconda battuta con Kiki, ma con Santu è un’altra cosa, un altro rapporto), e prima urlare tutta Precipito, urlare tutta Male di miele, essere contento per lui, essere contento per loro. Provare per la prima volta una sensazione nuova. Ossia che a questi voglio bene anche se son più bravi di me, anche se suonano meglio di me, o sono più simpatici, o hanno più tiro. No, Santu, non vi sto parlando addosso: è la verità. Altrimenti non mi sarei messo a cantare sotto il palco le vostre canzoni.
La gente può pensare male di me, o non credermi, e se sapesse cosa io penso di loro penserebbe peggio ancora di me, ma per voi ho solo parole buone. Tra l’altro mi è piaciuto molto anche Tommy.

Sedermi di fianco a Lollo poco prima di iniziare a suonare, vedere la Linda venire ad incoraggiarci e guardarci come fossimo due bambini.
Berta agitatissimo che girava senza senso.
Non avere la minima idea di dove cazzo fosse il Moro.

Rompere per troppa foga l’alimentatore del pedale. Come direbbe Riccardin Cavani col suo vocione:”MOLTO BENE!”. Non tanto perché mai e poi mai avrei voluto romperlo sul palco ma anche perché mi tocca pigliarne uno nuovo e quelli come il mio li vendono solo a Vignola e costano un badalucco di danée.

Non sentire una madonna di niente se non la batteria e stabilire che avrei seguito quella, tanto così facendo non avrei sbagliato più di tanto.
Trovare il Moro e Berta a occhi chiusi perché ci suono insieme da una vita, non solo so come e quando faranno una determinata cosa, so anche come e quando ne sbaglieranno un’altra.

Malinteso, Tregua, Irena, Nura e Adesso.

Mi hanno detto che non si è sentito tanto bene. Per forza, ma fa lo stesso. Quel che contava per la Data Zero era l’emozione. E’ stato un battesimo spietato. Avere un sacco di cose contro o impreviste ma andare via sparati, con pochissime sbavature strettamente dipendenti da noi.

Adesso per me è stata la sintesi perfetta dei sentimenti che mi son portato dentro per un anno.
Ok, Irene: sentire Gav e Santu cantare:”Trattieni il respiro, non dici una parola” è stato qualcosa di bellissimo, ma la sincronia di emozioni scaturita da Adesso è stato il raggiungimento di qualcosa cui ambivo da sempre. Possiamo averne incantati anche solo cinque ma quei cinque li abbiamo incantati a dovere.
Cavalcare selvaggiamente sul passaggio finale con Lollo che picchiava come un iradiddio, roba che neanche i migliori gruppi post rock, poi fermarsi all’improvviso e lasciare che fosse il basso a sgocciolare note in delay. Sentire quell’applauso naturale che parte solo quando hai centrato l’obiettivo. Una dei più forti batticuori della mia vita: da pelle d’oca.

“Zè, è stata la prima volta che hai lasciato che io mettessi un mio testo su una tua musica. Le tue emozioni combinate alle mie, con Berta e Lollo che han capito cosa volevamo intendere, han prodotto qualcosa cui non eravamo mai arrivati. Una cosa così non l’avevamo mai fatta”.
Moro, quant’è che suoniamo insieme? 10 anni?
Dopo dieci anni ce l’abbiam fatta.

Scendere, parlare con questo, quell’altro, perdere di vista Max, Berta, Lollo, ritrovarsi con Santu a brindare con una bottiglia di vino a noi stessi in un parcheggio deserto. Poi andare a Castagneto e sbronzarsi di brutto perché bisognava festeggiare.

“No, no. L’ho presa gigante” avrebbe chiosato Berta alle 4.30 del mattino.



- Grazie Linda, Gav e Jean. Senza di voi nulla di tutto questo sarebbe stato possibile.
- Grazie Berta e Moro per avermi seguito ciecamente. In cambio dovete riconoscere che ho lasciato che mi rompeste il cazzo a oltranza e molto più del consentito, prova dopo prova. E non è da me. Anche solo due anni fa vi avrei mandato a fanculo senza farvi nemmeno passare dal via al decimo minuto della prima prova.
- Grazie Lollo perché le idee che vengono a te, a me non verrebbero nemmeno in cinque anni. E grazie perché, secondo me, questa volta io te abbiam preso ogni battere, ogni levare e ogni break. Una constatazione. I fuoriclasse sono quelli che durante l’allenamento a volte sembrano soprappensiero o sembrano disinteressati; poi quando è ora di giocare per davvero fanno la differenza. Tu Lollo sei uno di quelli.
- Grazie Santu perché con te quest’anno ne ho viste molte, ma questa è stata la migliore. Sinceramente mi auguro non sia l’ultima così bella perché non sono per niente stanco di stare dalla parte delle asole e non vedo l’ora di riprendere le ostilità contro chicchessia.
- Grazie Checco perché fondamentalmente il tuo è uno dei pochi pareri che mi interessano. Non solo in senso musicale.
- Grazie Luca Eliz e Menga perché NON SOLO non siete venuti, ma vi siete lamentati perché non son venuto io a vedere l’Abbuffata.
- Grazie Selly per le torte che ci hai portato alle prove e per averci sempre sostenuto.
- Grazie Leti per avermi retto tutto venerdì e tutta la settimana scorsa.
- Grazie Paolo & Marchio. Mi auguro che la prossima volta facciate un dj set spietato. Ma me lo auguro sinceramente!
- Grazie Alle perché mi hai fatto scannare (tanto per cambiare) e perché stai organizzando la trasferta per la Melissa.
- Grazie Ché perché:”Zeman, io di musica ne ascolto, ma che cazzo di genere è, il vostro?”
- Grazie Fon per aver invaso il palco e perché:”Fon, ti siamo piaciuti?” “… No.”
- Grazie Enrico per avermi prestato tutto. Grazie veramente.
- Grazie Kiki perché avevi un basso bellissimo e perché:"Ma cum a fani a durmir in chi tabernachél lè?"
- Grazie Dave Ravera perché se anche non guardo un cazzo di quello che mi invii per mail un po’ di bene te lo voglio. Prima o poi andremo d’accordo per davvero, chi lo sa?
- Grazie Enrico “Il sempre Buffo” Buffagni. Col palco sotto i piedi ero alto come te.
- Grazie Simo e Italo per aver sfidato la Festa del PD pur di sentirci suonare e per aver detto:"Ma allora sapete fare anche altre cose oltre a sbronzarvi..."
- Grazie Giaco perché ci vuoi bene a bestia.
- Grazie Fabìn per il messaggio.
- Grazie Benny per l’abbracciatona a Castagneto.
- Grazie Piada perché io, è vero, tiro più pacchi di Amy Winehouse, ma anche tu non sei da meno.
- Grazie Mì e Liz: in fondo siete due sbandate anche voi.
- Grazie Canovi perché forse è grazie a te se Gavioli è ancora vivo.
- Grazie Vale per essere stata con noi all’inizio.
- Grazie Elena per le foto. Bel lavoro.
- Grazie Barra perché ti devo tantissimo e tu nemmeno lo sai.
- Grazie Tom per averci citato su facebook.
- Grazie Cavva perché sei el nino maravilla di Maranello.
- Grazie Dom, Monica, Vantin, Adragna per la presenza.
- Grazie al PD di Pavullo che ci ha offerto da mangiare. Di solito a tutte le altre feste era sempre e solo una birra piccola e un panino di merda. Chapeau.
- Grazie Bad perché sappiamo di avere un fan in Francia. Sai che bello!
- Grazie Frenci per il pensiero, apprezzatissimo.- Grazie Fonzo, Mario e Verra per averci lasciati liberi di fare. We're changing our ways taking different roads. Non esistono tradimenti, esistono solo cambiamenti di rotta.

- Grazie Sara perché senza di te non avrei mai scritto né Tregua né Irene e mi sentirei molto più vuoto di quanto forse non sono già.
- Grazie a tutti quelli che mi sono dimenticato di citare.


Santu, dopo tutta questa "stucchevolezza" mi aspetto un imperioso ritorno dei tuo classici messaggi d’amore (sms o vocali) riportanti complimenti quali:”Pelato”, “Vecchio”, “Sfigato”, “Zeman sei una checca”, “Thiago Silva è una merda” o una delle tue migliori uscite di sempre:”Non me ne frega un cazzo del Milan, io non seguo il calcio minore”.

I fiòl di gàt i magnen i pundeg.

Premessa
Correva l'anno 1995, avevo 14 anni.
Dopo una vita passata in piscina e sui campi di calcio mi innamorai del tennis.
Accadde per caso.
Mio padre, specie in estate, occupava molte sue serate sui campi rossi di Pozza.
Una volta il suo compagno di racchetta non riuscì a presentarsi e mio padre, vedendo che stavo diventando un ometto, mi chiese se mi fossi sentito pronto a giocare contro di lui.
E io, con tutta l'arroganza dei miei 14 anni, risposi qualcosa come "claro que sì", senza aver mai preso una racchetta in mano.
Presi un 6-0 di quelli umilianti e mio padre non si divertì neanche, ma per me fu bellissimo.
Allora non potevo capire ma son quelle esperienze che formano un ragazzo.
Affrontare il proprio vecchio, mandarlo a fanculo, cercare di scherzarlo senza riuscirci, fingere di non ascoltarlo quando mi rimbrottava ma seguire ogni sua indicazione avidamente, mandarlo a fanculo un'altra volta, venire umiliati ogni 3 x 2, fare la doccia insieme.
Generazioni contro, lo stesso sangue contro: cazzo che figata.
Andammo a giocare un sacco di altre volte quell'estate. Nonostante la mia prima sconfitta, ero portato, a livello di talento sportivo ero come mio padre, e del resto i fiol di gàt i magnen i pundeg.
A Settembre volli andare a giocare per davvero.
Mi iscrissi ad un corso di tennis a Maranello. Mi fecero un provino e mi misero ad un livello buono, il secondo in assoluto. Caso volle che mi ritrovai ad allenarmi con un tot di ragazzi e con mio cugino, Francesco.




Storia
Dopo un anno di allenamenti, gli insegnanti decisero di organizzare un torneo.
Era a griglia con eliminazione diretta al meglio delle due. Si partiva dai 32esimi.
Chi avrebbe vinto la finale avrebbe avuto accesso al gotha del tennis giovanile maranellese, l'anno dopo si sarebbe allenato con i ragazzi più forti, quelli del primo livello.
Feci fatica solo in semifinale, del resto non ebbi grosse difficoltà ad arrivare in finale.
Ovviamente mi ritrovai a giocarla contro mio cugino.
Al tempo non lo avevo capito ma ora posso dire con certezza che non fu un caso nemmeno quello. Gli insegnanti misero me da una parte del tabellone e Francesco dall'altra così che ci incontrassimo in finale, perché tanto ci saremmo arrivati entrambi. Poi lì si sarebbe visto il più forte. Se avessero studiato il tabellone in un altro modo e ci fossimo incontrati prima, la finale anticipata non solo avrebbe rovinato la bellezza del torneo, lo avrebbe falsato.

Andavo ad allenarmi due giorni a settimana, dalle 5 alle 6.30.
Andavo al campo di Maranello a piedi quindi uscivo e correvo da mio padre che mi aspettava. E' sempre stato molto severo e non ha mai tollerato il ritardo per cui io alle 6.31 massimo dovevo essere davanti alla sua macchina.
Lui usciva dalla Ferrari alle 6, bella grazia che mi aspettasse fino alle 6.30 e mi portasse anche a casa. Ogni volta correvo come un matto verso la sua macchina sperando non tanto che mi sorridesse, ma almeno che fosse meno nervoso del solito perché avevo fatto in modo di non fargli perdere troppo tempo.
Una volta arrivai alle 6.40, mi diede una cazziata che me la ricordo ancora.

Nel torneo dovetti quindi non solo giocare contro i miei avversari, ma anche batterli per tempo. Non potevo gigioneggiare, dovevo schiantarli alla svelta. Non potevo stare a fare dei pizzi, palleggiare, ricamare. Appena vedevo dello spazio io sparavo delle fucilate e tanti saluti. Per vedere Agassi bisognava guardare l'altra parte del tabellone, se invece ci si accontentava di Sampras c'ero io.

Arrivo in finale contro mio cugino, contro Francesco.
Ci sono anche i ragazzi del primo livello ad osservarci.
Il primo set non ci capisco un cazzo. Perdo 6 a 2 senza troppe feste. Chissà? L'emozione. Una finale è pur sempre una finale.
Il secondo set capisco che non si può più scherzare, e oltretutto sto anche perdendo del tempo. Mio padre non me lo perdonerà mai. Per cui cerco di vincere e di liquidare Francesco alla svelta. Vinco io 6-4.
E' al meglio delle 2 quindi si va alla bella.
Gran peccato che siano già le 6.15.

Alle 6.30 siamo 2-2.
Inizio ad agitarmi, mio padre è lì fuori che mi aspetta.
Amen, non posso mica perdere. Aspetterà altri dieci minuti.
Alle 6.40 siamo 3-4 per me.
Sono agitatissimo, avevo previsto di aver vinto a quest'ora.
Amen, mio padre aspetterà altri 5 minuti. Non posso perdere.
Alle 6.50 siamo 5-5.
Non me ne fregava un cazzo del fatto che chi avesse vinto avrebbe giocato contro i più forti, non me ne fregava un cazzo che il rampollo dei parenti contadini potesse imporsi sul rampollo dei parenti dottori, non me fregava un cazzo di questa incredibile rivincita sociale, non me ne fregava un cazzo che Francesco giocasse da una vita e io solo da un anno eppure fossi lì, mi fregava solo di due cose:
1) vincere;
2) sperare che mio padre non si incazzasse.

Alle 7 siamo 6-6.
Una finale infinita. Il campetto tutto intorno era pieno di gente, tutti che ci guardavano.
Potevano essere anche in centomila, non me ne fregava un cazzo.
Io dovevo vincere, e dovevo sperare che mio padre non si incazzasse.

Tocca a me battere, butto lo sguardo verso il parcheggio, e vedo mio padre, attaccato alla rete di protezione che mi guarda. Ha due occhi cattivissimi.
Non importa, prima vinco e poi mi prenderò la cazziata.

Francesco è fortissimo e non ha la minima intenzione di perdere.
Andiamo avanti fino a 13-13 e arrivano le 7.20.
Guardo mio padre, è incazzato nero.
Decido allora di darci a mucchio.
Commetto doppio fallo, mando lui in battuta e al secondo scambio la sparo fuori con quanto ne ho, senza nemmeno guardare dove.
Faccio su armi e bagagli e vado verso mio padre.

Non ci diciamo niente, sale in macchina, accende, partiamo.
Io che pensavo:"adesso si incazza, mi urla addosso, mi dice che d'ora in poi devo tornare a casa a piedi, ecc... che due maroni...". Non mi importava più aver perso, mi interessava solo uscire dalle cazziate di mio padre con meno ossa rotte possibile.

Dopo duecento metri, si ferma, spegne la macchina, mi guarda, e mi urla:"ADESA T'EM DIT CUM ET FAT A PERDER, SEMO!!!".

Tu, cinque giorni di tristezza e poi corri incontro alla vita


In anni e anni di scuola, spogliatoio, vacanze al maschile, band musicali, ho sempre pensato che stare in mezzo a soli uomini fosse un’esperienza temprante. I discorsi sul carisma, la selezione naturale, il gruppo, il cameratismo. Tutti principi spietati ma dall’immenso valore.
Pensavo d'essere vaccinato per qualsiasi cosa e credevo che qualora per obbligo o necessità (e non per amicizia) mi fossi trovato in mezzo a sole donne non avrei avuto nemmeno un problema. Dopo tre anni di lavoro a stretto contatto con sei donne mi accorgo di aver fatto un grossolano errore di valutazione.

Tanto perché Nick Hornby ci ha insegnato a stilare liste e classifiche, eccone un’altra.

1) Loro hanno sempre diritto ad essere incazzate, a sentirsi poco bene, a rispondere di merda, a parlare di continuo, a raccontare dei loro figli di cui non mi frega assolutamente un cazzo, a dar l la colpa ai piccoli di qualsiasi loro problema o di qualsiasi loro necessità. Nel caso ad essere incazzato sia tu-uomo, o qualora ti senta poco bene e ti scappi una rispostaccia la cosa migliore che ti puoi sentir dire è:”Calmati, non è colpa mia se stai poco bene o se sei incazzato col mondo”.

2) In inverno hanno freddo e mettono il riscaldamento a bomba. Se chiedi di abbassarlo, lo fanno. Scocciate, ma lo fanno. Ti assenti un attimo e tornano ad alzarlo. D’estate hanno caldo e mettono l’aria condizionata ma la mettono al minimo sindacale. Se chiedi di alzare, lo fanno. Scocciate, ma lo fanno. Ti assenti un attimo e tornano ad abbassarla.

3) Se per caso portano in ufficio le paste per festeggiare un qualche evento, le hanno sicuramente prese nel miglior forno della Provincia. Se lo fai tu-uomo si sentono autorizzate a dirti che sono troppo unte, sono troppo grasse, sono troppo secche, costano troppo, i gestori di quel posto non sono gentili, è meglio dove vanno loro. Se rispondi che allora sarebbero potute andarci loro o che non credi che sia come dicono:”Mamma mia se sei permaloso, non ti si può dire niente”.

4) Hanno diritto a ripeterti una storia che ti hanno già raccontato mille mila volte. Se fai loro notare che non è la prima volta che la senti, continuano imperterrite. Se anticipi loro la conclusione perché sai già come va a finire, continuano imperterrite. Quando attacchi tu-uomo con una storia sui generis che non conoscono, non t’ascoltano.

5) Se sono al telefono devi stare rigorosamente zitto e a tre metri di distanza. Se sei al telefono tu-uomo possono entrare in ufficio, stendere i panni, urlare neanche fossero a Napoli e parlarti mentre hai la cornetta in mano e stai ascoltando chi è all’altro capo della linea.

6) Se hanno bisogno di te è sicuramente un’urgenza. Se sei tu-uomo ad avere bisogno di loro sei uno spaccamaroni.

7) Ogni loro nuovo moroso è quello giusto, l’uomo della loro vita. Ogni tua amica che non conoscono è una puttana o ha meno tette di loro.

8) Se ritengono che tu uomo sia vestito male, hanno il sacrosanto diritto di fartelo notare e dirti come ti saresti dovuto abbigliare. Se provi a fare la stessa cosa, ma a parti invertite e magari perché son state loro a chiederlo a te, le conseguenze possono essere queste. A) “Se invece di giudicare ti guardassi…tu pensi d’esser bello?” B) “Invece sto bene” (e allora se lo sai già che cazzo me lo chiedi a fare?) C) “Sei uno stronzo”.

9) Non puoi permetterti di mancare di rispetto al loro sport del cazzo, al loro passatempo di merda, o ai locali che frequentano. Se invece tu-uomo suoni in una band musicale:”Hai trenta anni, è ora che la smetti di sognare”

10) Tra di loro è tutto un sorriso, tutta una moina, tutto un complimento. Poi, girate le spalle, si dicono dietro le peggio cose. Ma robe che se non avessi sentito con le mie orecchie non sarebbero neppure verosimili, per di più con una cattiveria che un uomo userebbe solo per far male e userebbe solo faccia a faccia, o se messo alle strette, o arrivato a un punto cruciale di rottura. Tuttavia sembra che faccia parte di un codice deontologico femminile, è cosa condonabile, accettata sotto silenzio.

Poi, dulcis in fundo, il mestruo: tana libera tutti. Il momento peggiore in assoluto (e fate i vostri conti: 5 giorni x 6 donne = 1 mese intero di nervosismo). Anzi, no. Il momento peggiore di tutti è quando sono in ritardo. Dio mé.

Per piacere, sostituite le mie sei colleghe con i sei uomini più cagacazzo del pianeta. Lasciatemi un mesetto per prender loro le misure, vedrete che non avrò nemmeno un problema.
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