L'Avvocato a Fiorano


In vita mia raramente sono andato alle presentazioni di libri di autori che fossero più o meno conosciuti. 
A dir la verità ne conto solo due, due lampi nel buio. 
Uno: la presentazione di BELLA GENTE D'APPENNINO di Giovanni Lindo Ferretti, mica cazzi. 
E due: BLACK JESUS, ieri sera, appunto, opera di Federico Buffa.


Quando quest'estate Marco Busani  m'aveva confidato che forse Federico sarebbe stato a Fiorano, ho avuto almeno quattordici infarti uno via l'altro, quindi, dopo aver ripreso conoscenza, ho realizzato di aver un appuntamento col destino, ho capito che dal Teatro Astoria sarebbe passato uno di quei treni che si vedono una volta ogni mai, e che avrei dovuto assolutamente prendere, non solo perché Buffa, come ho già ripetutamente scritto, potrebbe parlare della qualità del tartufo, di paracadutismo acrobatico, di pesca di pescigatto, che cazzo ne so, che comunque lo ascolterei per giorni senza batter ciglio e con la mascella da cartone animato giapponese, ma anche perché avevo una "mission", ossia consegnare direttamente a lui, nient'altro che a lui, qualche articolo degli 11 Illustri Sconosciuti (uno mio e due di Santu) che se avessi dovuto sentire dei "no, fai schifo al cazzo, scrivi di merda", mi sarebbe interessato che lo avesse detto il numero uno, non lo scemo del villaggio. E immagino di parlare anche a nome del mio compagno di banco.

Benissimo, ora, dopo questo periodo ciceroniano, di quelli in cui non si trova il soggetto nemmeno se si va per esclusione, veniamo a noi.

Buffa ha parlato a ruota libera per dieci minuti, forse un'ora, magari due: nescio, la quantità del tempo percepito è stata la stessa. A volte è stato il suo sparring partner Mauro Bevacqua (personaggio che ricorderemo solo per la gag di aver bevuto da una bottiglietta d'acqua mentre veniva presentato; gag non voluta, tra l'altro) a rivolgergli qualche domanda, giusto per dargli il La e menar le danze, come se Federico ne avesse bisogno. In my humble opionin sarà sicuramente una delle spalle ideali di Buffa, al pari di Flavio Tranquillo o Alessandro Mamoli, e gli starà bene dividere le percentuali, economiche o meno, con lui, ma non è stato tipo da lasciare il segno, per lo meno non lo ha fatto ieri.
Dopodiché è stato il momento delle domande del pubblico. Se dicessi che non ne ho capita mezza, mi vorrei molto bene; diciamo pure che mi pareva comunicassero in una lingua a me non conosciuta. Comunque poco importava, perché qualsiasi fosse l'interrogativo dei ragazzi presenti, Buffa partiva con un soliloquio di maniera in cui intercettava il tema principale per poi imbattersi in percorsi laterali off the beaten tracks in cui declamava aneddoti, storie o leggende, con una maestria tale che limitarsi a dire:"Ha una bella dialettica" o "È sicuramente una persona interessante da ascoltare" significa non capire che si ha davanti un alieno che è capitato in questo pianeta per puro caso.

Avrei voluto fargli una domanda anche io, ma non ci sono stati né tempo né modo specie perché la sala, stracolma in ogni ordine e posto, era piena di invasati comparabili solo ai nerdz che vivono le proprie domeniche all'insegna dei cosplay o personaggi che presentano atteggiamenti riscontrabili solo negli stalker, che chiedevano a Federico come vedeva una certa squadra o se un'altra avrebbe potuto vincere l'anello e cose così. Va bene che lo spettacolo era gratis e che più gente sarebbe entrata più bestie si sarebbero viste, ma delle domande un po' più che di merda, no?
L'alieno? L'androide? Un "mezzo quattro"? Io ho capito solo quando Fede ha risposto parlando di "falsi nueve", per il resto, fosse dipeso da me avrei replicato a tutti con un classicissimo:"La domanda è malposta, forse tu volevi chiedere che ore sono."

QUI IL VIDEO CARICATO SU YOUTUBE DA "CONCRETAMENTE SASSUOLO".

Avrei voluto fargli una domanda anche io, dicevo, perché mi sono accorto che davvero in pochi sanno chi sia. Quando mi hanno chiesto chi sarei andato a vedere/chi ero stato ad ascoltare, molti m'hanno sorriso nel sentire pronunciare il cognome (suscitando in me un sentimento di pena infinita nei loro confronti), e mi hanno domandato chi fosse. Domanda inopportuna forse, ma purtroppo né scontata né banale. In una realtà come quella italiana in cui essere "bravo seppur di nicchia" diventa qualcosa di risibile o di estraneo, è paradossalmente normale non conoscere Federico Buffa. Tuttavia cercavo di dare una risposta, magari andando a caccia di paragoni coi quali identificarlo, accomunandolo a qualcuno:"assomiglia a...", "si rifa a...", "richiama quello..." ma era molto più facile trovare chi facesse il verso o si ispirasse a lui. Come dire che è l'unico della sua specie. 
E se uno così non lo riesci a descrivere, lo puoi solo scoprire di volta in volta ma comunque non ne trovi la coda, ebbene la mia domanda sarebbe stata:"Ma tu, Federico, dove diavolo peschi le tue fonti? Il tuo modo di raccontare, di favoleggiare, di narrare da dove partono?". 
Mi pare infatti che per lui ogni bacino di cultura (o meglio sarebbe dire:"di scoperta") sia attingibile, sembra che spazi dalla parruchiera di paese ad un tomo consunto di filosofia. 
Due esempi su tutti. 
Nella puntata di Characters su Dirk Novitski, se ne esce con un termine -per i miei crismi di piacere- assolutamente memorabile, di quelli che oltretutto hanno il non modesto merito di riempire la bocca: "Sculaccianguille". Invece in quella sulla punizione di Rivelino contro lo Zaire tira in ballo il concetto di "Patafisica"

Inserire un concetto semplice in un discorso profondo (vedi il primo caso) ed un'idea filosofica in un contesto -solo apparentemente- frivolo (vedi il secondo), non è mestiere da tutti, è roba sopraffina, è un talento con cui nasci, ma che devi coltivare.

Episodi salienti da segnare a referto.
  • Teatro stipato di figa. Se fossi stato lì ancora un po' forse mi sarebbe venuta voglia di scopare il mio amico Chè, se non altro perché ha i capelli lunghi e lì dentro era uno dei pochi più bassi di me.
  • Federico Buffa s'è reso protagonista di un simpatico sketch con un tizio che indossava la maglia di Tupac facendo intendere che gli garbasse: dimostrazione che nessuno è perfetto e che è sempre vero quello che dice my good friend Chicco:"Bellissimo, bravissimo, ma ascoltatelo voi."
  • Aneddoto relativo a non-mi-ricordo-chi:"È di un'ignoranza sensazionale: è talmente forte in copertura che difende col rosario in mano." Ironia becera di Marchio:"Credo parlasse di Pessotto".
  • C'era un sacco di gente con i cappellini da rapper in testa:  l'homo sapiens sta fallendo.
  • Ho fatto una fila di circa tre anni luce prima di trovarmi a tu per tu con l'Avvocato: ragazzi, capisco che "all'uomo vero ci puzza la minchia", ma non litigate sempre coi deodoranti.
  • "Vedo molte cose, leggo molto: i vantaggi di non aver un cazzo da fare nella vita". L'umiltà prima di tutto, grande Fede!
  • Tu che indossi la maglia dei Velvet Undergorund e manco conosci Heroin: mazet.
  • Imbeccata magistrale di Bevacqua quando racconta di Thohir che ha regalato ad Iverson la maglia dell'Inter con il numero 3. Commento di Buffa (per chi non lo sapesse, milanista sfegatato): what the fuck...etti? 
  • L'aneddoto su Jason Kidd (ammesso e non concesso che io abbia seguito attentamente) valeva il prezzo del biglietto, se un biglietto da pagare ci fosse stato.
  • Federico che ad una certa dice:"Le ultime due domande e poi basta, sennò noi andiamo avanti fino alle quattro del mattino e, vi assicuro, non è bello. Lasciamo un po' di tempo per socializzare"

Preso alla lettera questo ultimo punto, alla fine mi sono messo in fila per consegnare gli scritti miei e di Santu a Buffa.


Sono stato più tempo part of the queue lì che tutte le volte che ho aspettato che il mio relatore della tesi mi facesse entrare. Fortuna che avevo pisciato.
A quattro persone dal raggiungimento dell'obiettivo mi son detto:"Vabbè, adesso volto gallone e me ne vado, non c'ho i maroni di incontrarlo".
A due persone di distanza hanno cominciato a tremarmi le mani e armeggiavo gli occhiali come Hitler nel film "La caduta", ho cercato di impugnare il cellulare ma mi è caduto.
Arrivato dinnanzi, Buso ci si è fatto contro e ha detto:"Ce l'hai fatta, Zeman!" e poi mi ha introdotto: "Federico, questo è Zeman, fa delle robe molto interessanti!"
"Zeman?"
"Ciao Fede, posso lasciarti due righe?"
"Ma certo!"
Mi ha firmato il libro, comprato (per la cronaca è il secondo che compro...) solo per non arrivare davanti a lui a mani vuote e:"Ancora complimenti... ciao..."

Me ne sono andato con il groppo in gola, con il cuore che batteva a mille e non ho trovato nemmeno qualcuna da far ballare per tutta la notte. 
Non ho avuto il coraggio di dirgli null'altro, non ho fatto foto-ricordo, niente di niente.
Col senno di poi (ma del senno di poi son piene le fosse e molti bar qui intorno), avrei potuto scambiare due chiacchiere, spiegargli cosa gli stavo consegnando, come mai fossi di lì, avrei potuto fargli la mia domanda, dirgli che per me quello era stato un appuntamento che per nulla al mondo avrei potuto schivare, il "mio" treno da prendere. In realtà la mia espressione era quella della vacca che lo guardava, il treno.

Ho voluto scrivere il mio resoconto della serata perché certe cose vanno ricordate nel dettaglio e il tempo, si sa, sarà anche un galantuomo, ma quando cancella i ricordi brutti, nel mucchio ci butta anche i belli e cancella pure quelli. Non mi sarei potuto permettere di smarrire queste memorie, non solo per le emozioni che spero di aver pienamente tradotto in parole, ma anche perché Federico Buffa ha smentito in toto uno dei migliori versi di Ferretti, ossia "Non fare di me un idolo, mi brucerò" perché per più di un'ora ha socializzato (come dice lui) con tutti i presenti, con una gentilezza ammirevole, quasi non fosse il miglior giornalista sportivo del Belpaese ed il miglior storyteller vivente italiano: il Giouan Brera dei nostri tempi. Mi è sol dispiaciuto non essermi esposto di più, di non avergli detto qualcosa di meno scontato, e sia sembrato solamente quello andato lì per chiedere un favore, il classico italiano medio di merda.

Non so se Buffa leggerà mai questo mio articolo; qualora dovesse capitare, gli vorrei sol dire una cosa: "Scusa se non stato il massimo della loquacità quando ci siamo incontrati, ma grazie per la fantastica serata, era da tanto che non provavo emozioni così forti".
Al di là della caratura giornalistica (non mi stancherò mai di dirlo: UNICA) e della levatura intellettuale, una persona magnifica, un vero e proprio signore.

PS Come ha detto il Fon Mamba:"Zeman, se diventi famoso per avergli dato gli articoli, ricordati che devi fare come Buffa ha detto che fa Allen Iverson: 'Dove mangio, mangian tutti', per cui ricordati degli amici, che dove mangerai tu, mangeremo tutti noi".
E tutto ciò ovviamente vale anche per Santu, non che paghi solo io!

Per la cronaca, questi sono gli articoli che gli ho consegnato.
LARGO AL FACTOTUM (di Santu);
IO MI RICORDO: ENZO FRANCESCOLI (di Santu);
HELLO FRITZ, FANCY A CUP OF TEA (mio).


Come direbbe Buffa: stay tuned.

Tigelline con il pesto montanaro, un problema di figure retoriche

Di seguito riporto il testo di una missiva inviata ad un giornale di viaggi e turismo cui sono abbonato.
In questo post ho aggiunto qualche foto altrimenti sarei stato troppo pesante e la Miriam non si sarebbe degnata di leggermi. Colgo l'occasione per dedicarlo agli amici del Calcetto & #wellness, coi quali ogni giovedì è abitudine andare alla cerca del miglior ristorante che serva gnocco fritto e crescentine, il tutto rigorosamente innaffiato da lambrusco gelato.


E mi cambierò nome ora che i nomi non valgono niente,
non funzionano più da quando non funziona più la gente.


Sant'Antonio di Pavullo n/F, 12/10/13

Oggetto: TIGELLINE CON IL PESTO MONTANARO, UN PROBLEMA DI FIGURE RETORICHE

Salve.

premetto d'essere un Vostro abbonato e di seguire con vivo interesse gli articoli, che ritengo essere scritti magistralmente ed essere accompagnati da immagini davvero suggestive. Dedico grande attenzione anche ai suggerimenti riguardo a locande dove poter soggiornare e/o mangiare perché mi piace viaggiare e sono molto attento alle tradizioni culinarie di altre regioni. Alcune volte ho seguito i Vostri consigli e altre volte mi è capitato di veder menzionati nomi di ristoranti o alloggi in cui ero capitato e dei quali non potevo che parlar bene, ad ulteriore riprova della bontà delle Vostre indicazioni.

Ebbene, sono costretto, mio malgrado, ad intervenire con un claim ufficiale per puntualizzare una questione rispetto alla quale Vi trovo in difetto. Mi riferisco all'articolo riguardante il Parco del Frignano; nel dettaglio: pagina 102 dell'ultimo numero (quello di Ottobre 2013) , ove, nel trafiletto intitolato “I buoni sapori del forno” parlate delle "crescentine" e delle "tigelle".

Sono modenese, originario di Maranello, ma residente a Pavullo nel Frignano, quindi parlo con cognizione di causa della questione in oggetto, e mi sento in dovere di correggerVi riguardo alla corretta definizione delle sopraccitate specialità locali. 
Viene da Voi scritto che "le crescentine sono fritte nello strutto, sono da farcire con salumi e quando non sono fritte si chiamano tigelle, dal nome dello strumento di cottura, un tempo di terracotta". Oltre a questo caravanserraglio di inesattezze, aggiungete un carico da undici parlando di “pesto” a base di lardo macinato, come possibile condimento delle stesse. 
Io mi sforzo di interpretare tante cose, dai miracoli di San Gennaro alle parole di Renzo Bossi, ma qui siamo davvero in un'altra dimensione.
Ma andiamo con ordine e insieme cerchiamo di capire da che parte gira il fumo.

Citando fonti super partes che non siano gli anziani nostrani, o “il sentito dire" dei bar di paese, bensì tirando in ballo quella che spero riteniate una fonte di cui poter condividere comunemente l'autorevolezza, ossia Wikipedia, ecco la definizione di “Crescentina”:”La crescenta o crescentina (nella forma plurale crescenti o crescentine) è un tipo di pane caratteristico dell'appennino modenese, altresì conosciuta, ma erroneamente, con il nome di tigella... Le crescentine modenesi si preparano a partire da un impasto di acqua, di grano tenero e lievito di birra, da cui si formano palline o dischi del diametro di 6-10 cm”.


Quello che Voi, nell'articolo incriminato, chiamate “Crescentina” è in realtà “IL gnocco fritto” e, si badi, non va utilizzato l'articolo determinativo “LO” come l'Accademia della Crusca o anche solo un qualsiasi sussidiario di grammatica potrebbero suggerire, ma va assolutamente usato l'articolo determinativo principe, ossia "IL". E questo perché vanno tassativamente rispettate i diktat linguistici imposti dalla trasposizione delle parole dal dialetto all'italiano che non staremo qui ad indagare e che Vi chiedo di accettare come dogma imposto.

IL gnocco fritto è un impasto di farina, sale, strutto e lievito. Al termine della lievitazione, la pasta viene divisa in piccoli rombi che vengono fritti nello strutto bollente e a volte anche nell'olio, ma è bene precisare come questa pietanza nasca nello strutto poiché si tratta di un tipico mangiare povero, ed è ovvio che le famiglie di una volta, quelle meno abbienti, non avendo l'olio nemmeno per le lampade, difficilmente ne disponevano per cucinare. È una specialità diffusa in tutte le province emiliane, in particolar modo però a Modena, Bologna e Reggio Emilia.


Dalle parti di Bologna, e questo significa essere ben oltre i confini del Frignano, il quale rimane in territorio esclusivamente modenese, lo chiamano erroneamente “crescentina fritta”, e questo è un abominio linguistico, filologico ed etimologico inaccettabile
IL gnocco fritto trova le sue radici nella pianura modenese e solo in un secondo tempo è stato esportato in montagna, nel Frignano e nelle province limitrofe. Tuttavia, come è vero che i ristoratori frignanesi nonché le rezdore del posto ne hanno conservato l'esatta definizione, da altre parti il nome è stato cambiato, e a Bologna è stato completamente confuso con quello di "crescentina" che, come abbiamo appurato, è altra cosa. A onor del vero, anche in alcuni paesi del Frignano, quelli che più risentono delle influenze felsinee (e che, a parer mio, dovrebbero quindi farsi un bell'esamino di coscienza), tendono a chiamarlo “crescentina o crescenta fritta”, ma non siamo qui per salvare tutte le anime dannate che “perdonali Padre perché non sanno quello che fanno”, né per mettere cerotti su gambe di legno, per cui sorvoliamo e riconosciamo nel fatto che almeno abbiano messo il suffisso "fritta" dopo "crescentina" un segno di buona volontà.


Spiegata questa differenza, una diatriba squisitamente modenese è invece legata alla differenza tra "crescentina" e "tigella"; infatti, per un caso di metonimia (nella fattispecie che siamo qui a dibattere, trattasi di figura retorica che si manifesta quando si utilizza il nome del contenitore per il contenuto), di contro a quanto fecero i locandieri che importarono il gnocco fritto, quelli della pianura, dopo aver conosciuto e apprezzato la specialità frignanese della "crescentina", la importarono nei propri paesi ma non capendo una mazza ne sbagliarono il nome, usando quello di "tigella", il quale è poi entrato nel gergo comune, prendendo deciso sopravvento in forza, è facile pensare, di un maggiore bacino di clientela a disposizione cui lo spartito era stato consegnato fuori tono.



Vuole dire: normale che qualora un ristorante di Modena città proponga “tigelle”, sia più facile che un maggior numero di persone le chiami così e non sappia nemmeno cosa siano le “crescentine” di Pavullo o del Frignano. Per la cronaca, non sono nemmeno insoliti i casi di ristoratori montanari “costretti” a sbagliare apposta il nome delle "crescentine", temendo di perdere potenziali clienti che non leggendo il nome “tigelle” chiedessero sbigottiti, se facessero anche quelle e se sì, che differenza ci fosse tra le due specialità.
I più bontemponi dei ristoratori erano, in questo caso, soliti rispondere:”Posso portarvi delle tigelle, ma non credo riusciate a mangiarle”, facendo loro intendere che le tigelle, quale strumento di cottura di terracotta, non fossero così facilmente digeribili.



Vero è anche che sono ultimamente sorti in pianura (ne ho visti a Modena o a Sassuolo) locali chiamati crescenterie, che cercano di ristabilire le corrette gerarchie linguistiche del caso, e le cui crescenti sono davvero buone, ideali per uno spuntino veloce in pausa pranzo, take away serale, o fame da carogna.


Tirando quindi le fila del discorso e impartendo una morale da ricordare come le proprie generalità, decreto il seguente verdetto.
La tigella è lo strumento di cottura della crescentina che è un piccolo disco di pasta da condire non solo con salumi, lardo & parmigiano ma anche con umido di salsiccia o di funghi, ed è cosa diversa dal gnocco fritto. E per chiarire al meglio il concetto, occorrerebbe accompagnare con una bestemmia di quelle che fanno tremare l'aria, bere un bicchiere di lambrusco e poi sbatterlo sul tavolo con sguardo di sfida verso chiunque abbia qualcosa da dire, ma capisco che questa non sia la miglior sede in cui farlo.

Sono quasi alla fine, ma prima un ultimo spin-off sulla questione del pesto.
Il "pesto" di cui parlate è un trito di lardo, rosmarino, aglio, sale e a volte pancetta, ma nessuno se non i villeggianti estivi che vengono dalla città o i turisti della festa lo chiamano “pesto”. Con una sineddoche, figura retorica mediante la quale una parte definisce il tutto, il trito da Voi è menzionato è chiamato comunemente “lardo”. Nessuna persona normodotata chiede all'oste o alla nonna il pesto, si chiede "il lardo", punto e a capo.

















Prima di concludere questa enciclica, vorrei sciorinare altre curiosità degne di “Non tutti sanno che”. In un bar di Castelnuovo di Garfagnana, i cui orari di lavoro rimangono un mistero della fede per gli stessi gestori per cui non mi sento di consigliarne la visita perché difficilmente trovereste aperto, mi è capitato di assaggiare una squisitezza locale, da loro ribattezzata “Pasta fritta”, che però ho trovato solo in quella specie di take-away. La Garfagnana, saltata agli onori della cronaca per le leggere scosse di terremoto di qualche mese fa, è una subregione storica della Toscana, appartenente alla provincia di Lucca e che condivide con il Frignano il confine appenninico. Non è quindi un'eresia credere che anche da quelle parti abbiano importato dai vicini frignanesi IL gnocco fritto, sebbene in una variante molto più unta e, come si dice da queste parti, “ciunta” e bisunta, il che non è per forza un male, ma solo se credete che il colesterolo sia un'invenzione dei media che non intacca i valori della circolazione e, dopo averne mangiato tutti, ci si dedichi ad un corsa di dieci chilometri in salita per smaltire.

So d'essere stato lungo, ma sappiate che ho scritto tutto in maniera davvero accorata e sentita, con il chiaro intento di riportare ordine in questa baruffa di parole lanciate a caso come se i nomi non vantassero storie e tradizioni da rispettare. Ho posto grande attenzione alle figure retoriche perché sì, hanno grande importanza nella questione testé discussa, anzi, forse sono tutto.

For your consideration e con immutata stima, porgo cordiali saluti.
Simone Ferrari


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