Non saranno mai emozioni da poco


"Senza la comprensione delle probabilità, l'intuizione non aiuta".
Questa frase, che ho letto non mi ricordo nemmeno dove, mi perseguita da un po'. 
Non sono ancora riuscito a sviscerarla completamente, ma credo voglia dire che un'idea, per esser buona, debba essere accompagnata dal verificarsi di determinate possibilità, altrimenti corre il rischio di bruciarsi, di non sviluppare il suo più pieno potenziale. Ultimamente, e i più recenti post sull'Indie e sugli 11IS lo dimostrano (o almeno me lo auguro), ho cercato di trasformare alcune intuizioni in belle storie, proprio perché ero convinto di aver compreso le insolite probabilità intorno alle quali s'erano create.
Se prendiamo per buona questa interpretazione, allora nemmeno l'articolo che segue fa difetto, perché ricalca la falsariga dei precedenti. Oppure, molto più semplicemente, la summenzionata frase non vuol dire ‘na mazza ma, come ripeto spesso, mi piace ricorrere a concetti o parole difficili per spiegare cose semplici: noi gente di provincia siamo così. 


PREMESSA: POST AD ELEVATO TASSO NOSTALGICO

È tutto molto strano. 
Per quanto ci si possa impegnare a fare o a non fare qualcosa, c'è sempre una qualche forza maggiore che ci riporta a più miti consigli e più labili intenti. Ad esempio io m'ero ripromesso che per un po' di tempo avrei scritto solamente per gli 11IS, dato che qualcosa bolle in pentola e che ad una data X bisognerà farsi trovare pronti. 
Proprio in virtù di questo impegno avevo declinato la proposta di collaborazione di un ragazzo che mi chiedeva -la faccio fin troppo breve- di scrivere di canzoni , raccontandone il testo, la storia dietro. 
Tra l'altro la di lui richiesta m'era pervenuta -le cose non accadono mai per caso- esattamente un giorno dopo lo scoppio dell'affaire "Voglio una pelle splendida", che io, non so bene perché, ho lasciato passare in cavalleria (se non siete a corrente della vicenda e ne siete incuriositi, sarò lieto di rispondere in forma privata ad ogni vostra domanda).

Comunque sia, con questo articolo mi prendo una licenza che pagherò tutta e pagherò cara in termini di tempo e altre cose cui avrei dovuto dare priorità, ma s'ha da fa', per cui lasciatemi contravvenire ai miei nobili ma decaduti principi e, se vi va, leggetevi la sbabbelata che segue.


GLI OFFLAGA DISCO PAX AL TEMPO DI ECONOMIA


Quando ho letto la notizia della morte di Enrico Fontanelli (polistrumentista degli Offlaga Disco Pax) sulla pagina facebook di Max Collini (cantante della band nonché autore dei testi) ne sono rimasto molto colpito.
Come ho scritto su FB, non credo che gli odp abbiano influito molto sul mondo musicale italiano, ma se devo ricondurre ad una canzone i miei anni d'Università, dovessi sceglierla con discreta cura ma soprattutto dovessi sceglierla immediatamente, opterei per un loro brano: KAPPLER.


Celebrare la fine di un gruppo, e farlo perché ne è venuto a meno un membro, rischia sempre d'essere un resoconto sterile di emozioni altrui di cui ci si prova a far portavoce, quando, e solo questo significherebbe rispettare il valore più profondo della musica, l'epilogo di una band dovrebbe dire qualcosa di diverso ad ogni persona che a quella band ha voluto bene per davvero e a cui ha dedicato anche solo un briciolo del proprio tempo.

Quando ho declinato la proposta di parlare di musica e di raccontare le storie nascoste dietro ai testi delle canzoni, al ragazzo che me lo aveva chiesto ho risposto che, non fosse stata una questione di tempo e di altri impegni, lo avrei fatto davvero con passione perché per me alcune di queste sono come gli horcrux di Harry Potter. 
Io non so se voi siate fan di Harry Potter, beh io sì, e se lo siete saprete di cosa sto parlando. In caso contrario, ve lo spiego a sommi capi. Un horcrux è un "qualcosa" cui legare inestricabilmente la propria anima: finché quel "qualcosa" non andrà distrutto, quella parte d'anima che v'è legata rimarrà intatta. Egualmente e/o all'incirca, quando il testo di una canzone mi rapisce, io le vincolo la mia anima, certe parole diventano i miei horcrux, lascio in quei versi qualcosa di mio, e ce lo lascio, comunque vadano le cose, per sempre (beh, diciamo che l’omino che ha plagiato il mio articolo su "Voglio una pelle splendida", l'ha smazzuolato per bene, il mio horcrux). 
Sensazioni, parole, persone, luoghi, odori, ricordi, speranze, ecc… a dimostrare che non si collezionano dischi o cd, ma si collezionano momenti (come infilo il dolce stil novo ovunque io, pochi). 


Transeat.

Non conservo un gran ricordo dei miei primi tre/quattro anni universitari. Non posso certo dire di essermi trovato male, di non aver legato con i compagni di corso o che le lezioni fossero difficili, ma fu con i successivi anni di specialistica che mi venne a piacere l'Università. 
Economia è una facoltà in cui, se si fa tanto di frequentarne l'atrio, capita di laurearcisi, non è una fatica di Sisifo ed è un discorso, questo, che vale per i 3 anni ma anche per i +2 che seguono. Tuttavia, se nella prima metà degli studi non si sviluppano situazioni da vivere con passione o trasporto, nella seconda l'interesse verso le materie cresce, i professori si rendono più coinvolgenti, i compagni di corso si riducono ed è più facile stringere amicizie intense e durature. Dei due anni di specialistica ho memoria di pranzi, cene, party improvvisati, chiacchierate al bar e al telefono, risate, qualche ma-forse-se da “senno del poi” (ma del “senno del poi” son piene le fosse e anche un sacco di bar qui intorno), insomma: le solite cose che fanno spessore e colore, e che è bello riguardare trascorso qualche anno e persa la caviara mescalera.



















Poi beh, dovessi sparare un ricordo su tutti, ho memoria di un vin brulè da regord, bevuto in occasione di un pranzo di corso a casa di una nostra compagna, sulle prime colline parmensi. C'era un freddo becco, di quei freddi glaciali che solo i più stronzi inverni emiliani sanno regalare, con tanto di umidità percepita del 400% e folate di vento affilate come lame. E poco importa che fosse il primo giorno di sole dopo settimane di neve, era il tipico gelo che prima ti prende le orecchie, poi i piedi, quindi le mani e infine ti scava dentro le ossa.

Quel meraviglioso vin brulè non solo m'aveva scaldato per intero, budella comprese, ma era stato il più saporito finale di una bellissima giornata di spensieratezza dopo settimane di esami. In ogni caso, non rimembro il menù, ricordo a mala pena chi mancava, solo a tratti rammento come cercammo sera ma, e a parte il Milan che perdette a Firenze ed un orrendo maglione a righe che ora non indosserei nemmeno se avessi perso una scommessa, a distanza di anni il più nitido amarcord è il sentore della cannella e il calore della tazza di vin brulè, mentre guardavo imbrunire fuori dalla finestra e la notte si portava via gli ultimi momenti di quella gelida ma piacevole domenica di gennaio.


COMPAGNI DI LUNGO CORSO, LETTERALMENTE 

Kolo Tourè, proprio lui, 'ccezionale

A Economia avevo la fortuna d'essere in corso con tre ragazzi che erano stati in classe con me al Liceo: Chicco, Checco e Colo Tourè. Sì, ok, ce n'erano altri due, ma la loro presenza incideva nella mia vita come i gol di Giampiero Piovani nelle corse salvezza del Piacenza: poco y niente. Tutti e tre attraversammo indenni la prima parte di studi conseguendo la nostra brava laurea magistrale, poi Checco scelse la vita e Colo Tourè la figa.


Mi rimaneva Chicco, che s'imbarcò con me nei due anni di Laurea Specialistica.

Quanto ci mancano i bungalow del Tassoni (questa foto risale al Paleolitico Medio)

Breve aneddoto a mo' di paradigma del personaggio.
Una volta vidi il suo telefono (non c'erano ancora gli smartphone et similia ma, per capirci, eravamo un po' più avanti dei Nokia di prima generazione) e, accorgendomi di quanto fosse obsoleto e facesse cagare, gli chiesi se non fosse ora di cambiarlo. Mi rispose:"Perchè? Io ho un rapporto UMANO con la tecnologia. So aspettare, m'accontento di quello che ogni strumento mi può dare, lo cambierò solo quando si romperà".
Fondamentalmente lui è sempre stato così in tutto: terra-terra. Per dire: credo sia l'unico che nel 2014 non abbia ancora facebook perché "Cosa me ne faccio di facebook se c'è il bar?"
Per cui, quando mi parlava di qualcosa che gli era piaciuto (un libro, un gruppo, un giocatore di calcio), prestavo grande attenzione perché riconoscevo l'unicità del momento. Ed un giorno, mentre attendevamo l'inizio delle lezioni, mi disse di aver sentito una canzone appena uscita di un gruppo sconosciuto. Ricordava distintamente solo una parte del testo, la quale recitava:"Il socialismo era come l'Universo: in espansione!"
Inutile dire che per le orecchie di Chicco si trattava di un suono soave, date le sue tendenze politiche.


Fu con grande simpatia che allora scoprimmo gli Offlaga Disco Pax e insieme ad altri amici, tra cui Berta e Checco, ci lanciammo in quelli che Chicco avrebbe poi definito:"Mesi di citazionismo spinto". Infatti per noi, abituati a ripetere a iosa e a strafottere le frasi topiche dei nostri professori del Liceo (su tutti: Graziano Dotti), trovare un compendio così bello di sentenze bell'e che pronte da sfoggiare ad ogni occasione buona era manna dal cielo.

Fu un attimo inserire alcuni versi degli Offlaga nel nostro modo di comunicare.
  • "Se uno ci pensa, non ci può credere";
  • "A suo figlio serve il militare nella legione straniera"
  • "Brutta bestia, l'invidia"
  • "Suo figlio, signora, ha la faccia come il culo!"
  • "Alternativo dei miei coglioni!"
  • "Qualcuno sa perché"

Che poi, fondamentalmente, non c'era nulla di nuovo in queste parole, ma era il significato che sapevamo esserci dietro, il perché quel modo di esprimersi ci riconducesse a qualcosa che condividevamo comunemente, a sublimarle. 
Dei centoquarantamila gruppi che fondai successivamente, credo che per tutti Berta abbia proposto come nome:"Toro toro Taxi", ed ogni volta che Checco caricava qualcosa sullo spazio di sharing chiamato File Front, per tutti diventava il più amichevole "Far Fronte".



Lungimiranza

Episodio pilota - KAPPLER. THE TRUE STORY BEHIND THE GLORY

Al Corso di Laurea Specialistica avevamo un professore che si chiamava Caperchione, a suo modo un bel personaggio. Era piacentino, lo era per nascita e perché sì, non poteva che esserlo: incarnava alla perfezione l'uomo di confine che viveva in Lombardia e lavorava in Emilia. Aveva un fare milanese, sgaggio, molto pratico; d'altro canto però sapeva sciogliersi in piacionerie e lasciarsi andare a scherzi (nonché alla buona tavola), atteggiamento molto più da provincia padana al di sotto del Grande Fiume.
Quando spiegava e teneva lezioni "lo avevamo ribattezzato, visto l'abito e lo stile" (e anche un po' perché era stato fin troppo facile l'invito che ci avevano dato le iniziali del suo cognome): KAPPLER. 

Un bel dì Kappler decise di assegnarci un progetto che avemmo dovuto realizzare a coppie: analizzare i bilanci sociali (se ben ricordo) di alcune grandi città europee ed esporne le nostre considerazioni in aula. Valeva come esame.
Tale era il nostro sodalizio che la coppia formata da me e Chicco era più scontata di un piagnisteo di Mazzarri e qualche giorno dopo ci mettemmo al lavoro. Le nostre sedute di studio, quando non erano presso il Circolo Arci di San Cesario (dove ancora faceva bella mostra di sé una cartina dell'Unione Sovietica), si svolgevano a casa di Chicco, previo piatto di tortelloni della nonna. Quindi, dopo aver guardato i Simpson e ascoltato qualche canzone, all'alba delle quattro e mezza della basora ci mettevamo al lavoro. Quel giorno non ne avevamo particolare voglia (diversamente dagli altri, beninteso) e, tra tutte le città europee con bilanci sociali di interessante analisi, noi ci convincemmo che la più adatta, non solo per noi, bensì per tutta l'assemblea davanti alla quale avremmo dovuto discutere, non potesse che essere Vilnius, arcinota megalopoli baltica, Capitale della Lituania. A dirla tutta la scegliemmo perché ce ne piacque il sito internet, alla cui apertura partiva una fighissima musichetta d'accompagnamento.
Non so cosa ci fosse passato per la testa o se semplicemente avessimo avuto furia di fare altre cose, ma lì per lì ci sembrò la migliore delle idee e anche il piano:"Zeman, lascia parlare me, tu occupati di intrattenere il pubblico con battute da commedia all'italiana, fai un po’ di avanspettacolo!" ci parve perfetto.

Bella città, Vilnius. Certo, non è Ascoli, non è Andria, non è Foggia, ma bella. Nel suo piccolo devo di' bella.

Il giorno dell'esame, osservando i progetti altrui nonché il serioso modo di fare di Kappler, ci accorgemmo che prendere il bilancio sociale di Vilnius come base della nostra ricerca forse non era stata la più bella idea che ci fosse mai venuta in mente. Per giunta quando toccò a noi andò in pappa pure il proiettore. Fummo temporaneamente presi da un forte senso di scoramento; le altre bands of brothers non avevano riscosso grandi apprezzamenti, una coppia era perfino andata fuori tema, Kappler si stava spazientendo... insomma, tutto ci stava dicendo male.

Io e Chicco però avevamo mani piene di assi, anni ed anni di interrogazioni di Storia dell'Arte, durante le quali avevamo imparato a imbastire veri e propri trattati su argomenti di cui non sapevamo un cazzo. Se al Tassoni ne eravamo usciti quando la Montorsi ci aveva chiesto di parlarle del Gattamelata, e noi, pur senza saperne mezza, lo avevamo fatto, ne saremmo usciti anche questa volta.

Gattamelata, ancora tu, ma non dovevamo vederci più?

E così fu.
Mettemmo in atto il piano che avevamo dettagliatamente preparato. 
Io pensai a imbonire Kappler e a procacciare il gradimento del pubblico presente in aula con battute da cinepanettone, così da ridurre i tempi morti dovuti al guasto del proiettore, mentre Chicco fece quello che sapeva fare meglio: dibattere di niente per decine di minuti. Insistemmo molto sul fatto che il proiettore parzialmente fuori uso penalizzasse la nostra presentazione, dato che i volumi erano andati a puttane e non ci si poteva beare dell'incantevole accompagnamento sonoro del sito di Vilnius.

Chicco, dopo aver letto il presente articolo ha recuperato questo cimelio dai suoi archivi. 
È tutto vero, ricordavo male solo una cosa: non si trattava di un bilancio sociale ma di un piano strategico.
Francesco Zuffi @francescozuffi 16 apr
@Zeman81 Ecco le prove. Il futuro passava da Vilnius e noi siamo saliti sul treno #parlaremezzorepernondireuncazzo

Inutile dire che Kappler fu entusiasta della nostra presentazione. 
Con un sorriso sornione ci fece una sola domanda:"Ma non c'è proprio modo di sistemare i volumi? Sarei curioso di sentire la musichetta!"

In realtà tutti e tre sapevamo d'aver preso parte ad un grande bluff ma io e Chicco fummo contenti di farci firmare un 28 e Kappler di aver passato una mezzora diversa dal solito, ascoltando quattro braccia rubate alla peggiore manovalanza che cercavano di raccontargli di come e perché il bilancio sociale della virtuosa Vilnius fosse da prendere ad esempio da tutte le città del globo. 

Era un bellissimo cerchio che si chiudeva.
Se fossimo stati al Liceo e le nostre madri fossero andate al ricevimento di Kappler, questo avrebbe detto ad ognuna di esse una e una sola cosa:"Suo figlio, signora, ha la faccia come il culo!"


ANNESSI E CONNESSI

Derubricato il capitolo Università, s'apre la pratica degli annessi e connessi, episodi non trascurabili della mia vita legati ad altre canzoni degli Offlaga Disco Pax.

Episodio I – PIAZZA LENIN A CAVRIAGO
Tutti noi rimanemmo molto impressionati dal testo di Piccola Pietroburgo; io addirittura ci andai una domenica, nella Piccola Pietroburgo, ossia Cavriago. Per la cronaca fu la conclusione di una bella gita durante la quale vennero toccati alcuni luoghi simbolo della musica reggiana propriamente detta, ossia quella di Ferretti e Zamboni: Cerreto Alpi, la Pietra di Bismantova, Canossa e Codemondo. Una sorta di raccolta turistica di horcrux geo-musicali.

Se uno ci pensa, non ci può credere

Il busto di Lenin è uno di quegli artefatti politici tutti emiliani davanti ai quali rimanere esterrefatti e senza parole. Ricordo bene che quando ne parlai a mio padre, stentò a crederci, cedendo alla realtà dei fatti solamente quando vide la fotografia che io stesso avevo scattato. E pensare che Cavriago disterà da Maranello massimo mezzora di macchina (ma anche cinquant’anni di evoluzione politica).

Cavriago, Oblast' dell'Emilia, Unione Sovietica


Episodio II – L’ULTIMA DATA DE LA CORTE DEGLI SCONTENTI.
Ormai alla fine della storia della mia beloved band "La Corte degli Scontenti", capitò di aprire il concerto degli odp alla Festa dell'Unità di Torre Maina. Avevamo suonato tutta l’estate (molte band pavullesi di adesso, con un hype degno di miglior causa, avrebbero parlato di un "cazzi & mazzi tour" in giro per il mondo, anche solo se fossero arrivati in fondo alla strada dell'orto o si fossero spinti fino a Polinago), avevamo perso la trebisonda ed eravamo in rotta.
Con i nervi a fior di pelle, uno di noi riuscì a litigare con un membro degli Offlaga. Al di là della figura di merda, vale dire che nemmeno loro furono troppo carini con noi. 
Tuttavia, guardando quella scena da lontano, anni dopo, provo un enorme dispiacere per quello screzio.

In bilico

Il colmo volle infatti che quello fosse l'unico concerto degli Offlaga Disco Pax che vidi. Qualche mese prima di quella sera, sicuro di provare una forte ammirazione per quei personaggi e per lo spettacolo che stavano portando in giro, sarei andato a vederli volentieri pagando regolare biglietto e centoventesima tessera m-Arci. Invece quella notte di mezz'estate mi sedetti da solo in un angolo, assistendo con insofferenza al concerto di quelli, che in quel momento, non mi sembravano più personaggi meritevoli della mia stima, ma personcine cui avevo dedicato fin troppo tempo e dei quali mi sarei ricordato solamente perché la loro esibizione aveva coinciso con l'ultimo mesto show del mio storico gruppo: La Corte degli Scontenti.
Non era né sarebbe stato così ma in quell'istante riuscivo a pensarla solo così. 


Episodio III – L’EQUIVALENTE IN ALTEZZA DI UNA CABINA TELEFONICA


Di "Ventrale" me ne parlò uno dei miei compagni di running, che aveva collaborato alla realizzazione del video. E non solo mi piacque un casino, ma rimasi incantato dal racconto della leggenda sportiva di Vladimir Yashchenko. Per uno come me che dedica il proprio tempo libero a collazionare storie sconosciute di atleti illustri o storie illustri di atleti sconosciuti, "Ventrale" era un piccolo gioiellino da ascoltare avidamente e da cui prendere spunto. In fondo in ogni mio articolo degli 11IS c'è un po' di "Ventrale".



Episodio IV - JEAN
Correva l'anno 2011, avevo da poco cambiato lavoro, trovando occupazione in una ditta in cui finalmente mi trovavo (e tuttora mi trovo) benissimo. Dopo aver passato anni infernali, stavo finalmente raggiungendo la mia dimensione ideale. In una di quelle sere Massimo Zamboni si sarebbe esibito a Modena, accompagnato dalla propria band e da Angela Baraldi alla voce. Avrebbero suonato alcune canzoni dei CCCP e dei C.S.I.: per nulla al mondo avrei potuto mancare ad un appuntamento simile.


Ero in compagnia di Berta e Jean, quest'ultimo esagitato come suo solito, ballava in preda ad una furia emotiva inconsulta, spingendo chiunque gli si parasse davanti: in pratica quello che continua a fare tuttora quando non scrive. Ad una certa avvistò qualcuno che catalizzò la sua attenzione: Max Collini, il cantante degli Offlaga. Era in fondo alla sala e, come tutti, assisteva rapito al concerto. Jean ce lo segnalò e, non so, forse pensando che così facendo avremmo capito meglio di chi si fosse trattato, prese la mira e gli ci si fiondò contro, in un pogo unilaterale dal quale Collini uscì, più che malridotto, visibilmente seccato.
Mi fece specie vederlo al concerto di Zamboni, era come se fossimo “fratelli di musica” e orfani di Ferretti, e fossimo lì, in quel preciso momento, per cacciare qualche emozione che eravamo costretti a non provare più.


EPISODIO V – E INFINE IL MIO QUARTIERE
Quando entrambi vivevamo ancora lì, capitava che la domenica in seconda serata scattasse il “sunday paglia time”, ossia uno dei ragazzi del quartiere mi inviava un sms chiedendomi di raggiungerlo al parco lì vicino per fumarsi duemila sigarette prima che il lunedì tornasse prepotentemente all'attacco. Pur essendo amici di infanzia non uscivamo in compagnia assieme né avevamo grossi interessi in comune, a parte a volte trovarsi per bere vino e mangiare salame. Il “sunday paglia time” era l’unico momento in cui ci si vedeva ed io ero sempre contento di incontrare Vitori (questo il suo soprannome) e, dato che era lui a scrivermi, immagino che il sentimento fosse reciproco. Una domenica sera mi regalò addirittura un cappello che aveva comprato appositamente per me a Camden Town: è tuttora quello cui tengo di più, anche il più bello.
Ebbene, ricordo che una volta, parlando di musica, mi chiese se conoscessi gli odp ed io, nel pieno della mia fase hipster aprii l’enciclopedia omnia del caso, finché lui, non appena gli staccai il gancio prendendo fiato per più di due secondi, mi disse di aver ascoltato “Soap Opera” ed esserne rimasto turbato.

Soap Opera non appartiene ad alcun loro album: è per quello che, dannato me, non la conoscevo

Io mi zittii perché Soap Opera non la conoscevo manco p’o’cazz, e nemmeno ero al corrente della storia che c’era dietro: agghiacciante. Mi capitò poi di leggerla, la storia della saponificatrice di Correggio in un libercolo di Ligabue consigliatomi da un'amica e di vedere qualche documentario in merito, ma niente, raccontarla in modo così drammaticamente preciso e altrettanto sintetico era riuscito solamente agli odp.


ABITUARSI ALLA FINE

Sempre nel mio post su facebook sottintendevo che purtroppo, così come in passato non avevano influito nella storia della musica, non so se a questo punto avranno modo di farlo in futuro. Nel caso decidano di appendere microfoni e strumenti al chiodo, non mi mancheranno come mi manca, che so, Ancelotti, però credo sia facile capire da questo post-fiume come in certi periodi della mia vita si siano ritagliati i loro meritati spazi emozionali e a questi io abbia ancorato piccoli o grandi ricordi indelebili. Horcrux musicali, di certo non i più importanti della mia vita ma comunque significativi e che, come ha detto chi con sentimento e rispetto ha scritto questo articolo: non saranno mai emozioni da poco.

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