Irlanda, appunti di viaggio - Vol.2

DUE WEST

Il sabato è giornata di trasferimento, si noleggia la macchina e si va ad Ovest, direzione Galway e da lì Isole Aran.
Le lande che attraversiamo sono desolate ma hanno un loro perché: un po' Brianza e  un po' -immancabilmente- Devonshire.
Per almeno una cinquantina di chilometri rimango convinto che la città indicata in tutti i cartelli di uscita sia Amach, fino a quando non realizzo che "amach" altro non è se non la parola che sta per "exit" in gaelico, non tanto lingua che gli irlandesi si piccano di parlare (come credevo) ma che gode di una propria ufficialità e che in un alcuni paesi viene preferita all'inglese/irlandese; per capirci: è come se in Italia si praticasse regolarmente l'uso del latino a fianco dell'italiano.
La colonna sonora selezionata dal Bomber è piacevole nonostante mi sentirei di definire sensazionale la sua ignoranza musicale. Secondo lui, infatti, ne "Il Cielo d'Irlanda", ci si riferisce distintamente ad un presunto Re, tale Tzingali (se io e Mandela intendiamo correttamente lo spelling), per la precisione "Tzingali 'u Re", quando anche un bambino al suo primo ascolto capirebbe al volo:"zingari o re". 
Vabbè, dettagli.

"Dal Donegal alle Isole Aran, e da Dublino fino al Connemara,
dovunque tu sia, viaggiando con TZINGALI 'U RE".

Transitiamo per Galway, oggi solo tappa di passaggio, dove torneremo una volta visitate le isole Aran, e capitiamo nelle zone industriali e periferiche. Per quanto questi quartieri, anche quelli residenziali, risultino puliti e ordinati, mi riempiono di una tristezza infinita. Le case sono tutte uguali, l'una attaccata all'altra, spostate solo di qualche metro in avanti o indietro: mancano proprio di fantasia e buon gusto.
Fortunatamente però, fuori qualche chilometro, al grigio della città si sostituiscono il blu del cielo terso, il verde della campagna intorno e il viola delle panchine a lato strada: tutta un'altra atmosfera; l'aria non sa più di diesel e morte ma di vita, di mare e di fritto.


Siamo in good time e, just in case, ci fermiamo a chiedere indicazioni per Rossaveel (o, in gaelico, Ros ‘a Mhil), luogo d'imbarco del traghetto per Kilronan, il villaggio più popoloso delle isole verso cui siam diretti. Il Bombardiere ne approfitta per un snack dei suoi: chicken breast, patatine, caramelle, qualcos’altro e Sprite. Rientra in macchina con la self-confidence di chi s'appresta a percorrere la strada dell'orto, mette il pollo che gli è avanzato nel cruscotto e dichiara:"Siamo in perfetto orario, tra un quarto d'ora siamo arrivati".


LOST IN CONNEMARA

Enjoy Connemara

La strada e lo scenario sono incantevoli. 
Dapprima il paesaggio si disegna di brughiere, colline brulle appena accennate e delicate pendenze ricoperte da boschi, di cui il tocco dell'uomo ha rispettato, con un insolito giudizio, la bellezza, separandole dalla strada con muretti a secco avvolti dall'edera che, pur nella loro irregolarità, appaiono davvero armoniosi. Poi l'ambiente muta, la natura si fa più viva e rigogliosa e, tra declivi verdeggianti e lucenti specchi d'acqua, corrono branchi di cavalli e pascolano mandrie di pecore segnate di rosso e di blu (non so perché ma questo particolare mi colpisce: come rovinare la magia con sole due mani di colore).
Al netto di questi ovini transgender, mi sembra di essere dentro a "Il Signore degli Anelli", m'aspetto che da un momento all'altro saltino fuori Aragorn, gli elfi e i cavalieri di Rohan. 

No, questa foto non l'ho fatta io, andavamo troppo veloci per avere questa visuale.
L'immagine però rende benissimo l'idea.

Figuriamoci però se non riusciamo a metterci in un qualche modo nei guai. 
Sono ormai infatti passati tre quarti d'ora e dell'oceano non v'è traccia; al Bomber sovviene un ragionevole dubbio:"E se avessimo sbagliato strada? In teoria dovevamo già essere arrivati!"

Freno a mano in una piazzola di sosta, breve conciliabolo tra me, Mandela e Bomber, sguardo alla mappa e si volta gallone. Ci rendiamo conto di aver bellamente smarrito la trebisonda e attribuiamo al primo bivio sbagliato il peccato originale cui imputare il primo fallimento dell’Organizzazione Tugnoli.
We’re lost in Connemara, definitely.
Non siamo più in perfetto orario, anzi. Sono le cinque e tre quarti e dobbiamo percorrere circa una quarantina abbondante di chilometri, alle sei e mezza parte il traghetto.
Senso di impotenza, scoramento, nessuna connessione dati, insulti al tizio del chicken breast che ci ha mal consigliato: non ce la faremo mai, tutto ci dice male e a Fabione è pure passato l’appetito.

Sul perché Bomber fosse intenzionato ad andare a Clifden... Dio t'al déga. 


L'ORGANIZZAZIONE TUGNOLI

Nonostante il tempo stringa e la strada sia sconosciuta, il Bombardiere non getta la spugna e spinge la macchina full throttle, smarrendo totalmente (ammesso che ancora ce ne sia) il timore della guida a destra che inizialmente ci aveva spaventato. Io e Mandela siamo terrorizzati dalla sicumera che il nostro amico ostenta al volante: io riesco a contare i peli delle pulci nei cespugli al bordo della strada mentre Nelson, più che essere preoccupato per la nostra integrità fisica, lo è, “giustamente”, per le condizioni della macchina che, solo per carità di patria, ha ancora tutte e quattro le ruote al loro posto. Qualsiasi critica proviamo a rivolgergli, la sua risposta è sempre la stessa:”Non rompete il cazzo, guardate che bel paesaggio, enjoy! Enjoy Connemara!”
Perché sì, stiamo visitando, seppur ad un’insostenibile velocità di crociera, una regione da cui non saremmo nemmeno dovuti passare: il Connemara. 
Lo scenario è indescrivibile e provo a scattare qualche fotografia ma l’andatura del Bomber è troppo elevata; faccio appena in tempo ad accorgermi di come il territorio sia cambiato, cedendo il passo a torbiere, massi e nuvole basse.

Cominciamo a vedere qualche casa, ci stiamo avvicinando a Rossaveel, abbiamo i minuti contati ma, se tutto ci dice bene, potremmo avere qualche chance di imbarcarci. Elaboriamo un piano da “fuori in trenta secondi” e, appena avvistato il parcheggio, ci infiliamo nel primo posto libero (botta di culo tremenda, il più vicino al capanno dove ritirare i biglietti), e ci dividiamo i compiti. Mandela vola verso il traghetto, pronto ad imbastire una sceneggiata napoletana affinché non salpino, Bomber recupera i tickets e io porto le valigie, rimanendo a mo’ di elastico tra i due. 

La scena è memorabile, di quelle che racconterò ai miei figli, ai miei nipoti e a tutti quelli cui, da sbronzo, attaccherò dei chiodi esagerati alle tre del mattino.
Mentre Madiba, avanti a noi di un qualche centinaio di metri, raggiunge l’imbarcadero, io accompagno con lo sguardo la tragicomica corsa del Bomber, il cui affannoso moto è degno della migliore commedia all’italiana. 
Perde le brache, le mutande, chiede aiuto, gli cadono a terra i biglietti e rischiano di volargli via, riusciamo a fermarli con il piede prima che il vento li trascini con sé, ripartiamo, corriamo a perdifiato, Bubu riperde i pantaloni, sghignazza di gusto, sghignazza istericamente, poi, finalmente, arriviamo al pontile cui è attraccato il nostro battello. I due marinai all'imbarco, dopo aver assistito alla tragedia umana di cui ci eravamo appena resi protagonisti, ci guardano con compassione e ci suggeriscono di tenere al sicuro i biglietti di ritorno, data la fortuna che avevamo avuto nel non regalare all’oceano quelli d’andata.

Un eroe dei nostri tempi

Siamo miracolosamente a bordo: come ce l’abbiam fatta rimarrà per sempre un mistero della fede.

Siamo pronti a diventare, per qualche giorno, "Men of Aran"

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