La bellezza della privazione

Tempo di lettura: dalle tre alle quattro ore

Dove eravamo rimasti


Racconti incompiuti

“Facciamo un sunto delle puntate precedenti”: così era solito iniziare le lezioni il mio professore di chimica del Liceo, quello che per molti dei suoi alunni è diventato un personaggio iconico dalle sentenze secche e leggendarie, il mitologico Graziano Dotti. E un recap è quello che vorrei provare a fare circa l’estate appena trascorsa, o per lo meno riguardo questi ultimi quattro mesi, e per farlo vorrei partire da un commento di un’amica al mio più importante post di facebook, quello con cui annunciavo urbi et orbi della nascita della piccola Benedetta.

Di base era sufficiente la sconfitta della Francia per rendere una data memorabile.

"Aspetto una storia dell'arrivo di Benedetta! Meriterà di sicuro, scritta dal suo papà!".
Al gradito messaggio ho risposto di cuore e di pancia:"Il paradosso è che, nonostante per visto e vissuto sia la cosa più forte che potrò mai raccontare, ha messo a tacere anche uno con la mia favella". 
Tuttavia è peccato non scrivere niente, non tenere nulla agli atti. Se non altro perché negli anni questo blog è diventato sincope della mia memoria e a volte torno a leggere vecchi articoli esclusivamente per ricordare meglio come stessi in altri periodi, quali canzoni ascoltassi, che parole usassi, cosa pensassi. Si badi, però, che riprendere in considerazione il passato non si è mai fortunatamente tradotto in un'operazione di rethink (voglio dire, non è mai stato un:"Cosa avrei dovuto fare? Dove ho sbagliato?") bensì in un processo attraverso cui riportare a galla suoni, profumi, odori, volti (anche quelli appena sfiorati e poi di colpo dimenticati) e sentimenti.
Sempre il professore di cui sopra era uso dire:"Repetita iuvant sed scocciant"; verissimo ma tutto questo è proprio ciò che io insisto nel chiamare "la memoria delle sensazioni" ed è quanto tra qualche anno, rileggendo questo post, vorrei rievocare, con tutta la dolcezza e la serenità che mi piacerebbe trasmettere in queste righe (e con la canzone che allego di sotto).

Ogni stagione ha le proprie canzoni, quelle che vanno in loop. E per me questa, tra Luglio e Settembre, è stata una droga.

Potrebbe apparire inevitabile scivolare nello stucchevole, specie perché parlare dell'arrivo di una figlia spinge in questa direzione, ma il mio obiettivo è dare conto dei whereabouts fisici e figurati dell'estate appena trascorsa, delle cose che hanno definito i contorni di questo lieto evento, le cornici che hanno reso memorabile il quadro. Quindi non so se riuscirò a riscontrare il commento della mia amica, almeno non per come lo abbia inteso lei, ma per come l'ho vissuto io sì, forse sì. 
A didascalia del mio ragionamento porto in dote una battuta di "Sicario", un film sorprendentemente intrigante di cui consiglio la visione, dove, ad una certa, un infinito Benicio del Toro zittisce la sparring partner di  turno:"Mi hai chiesto come è fatto un orologio, per ora limitiamoci a controllare che ore sono". 
Ecco, tipo.
Voglio cercare di capire come/dove io sia e cosa abbia appena passato; e come alla fine del film tutto diventa lampante così forse al termine della mia storia se ne saprà (e ne saprò) di più anche intorno al meccanismo che ha animato i mesi più intensi della mia vita.

Io esco pazzo per i film in cui gli ingredienti sono il confine tra Usa e Messico, i cartelli della droga e i Narcotrafficanti. 
Quando poi son fatti da Dio, ciao, ma ciao proprio.


An end has a start

In casi come questo è sempre un casino trovare il bandolo della matassa, decidere da dove iniziare, se avventurarsi in un incipit in medias res, andare a rebours... è complicato anche solo scegliere i tempi e i modi verbali adeguati (anzi, questa è la cosa dannatamente più ardua). Fortunatamente rivolgersi la domanda porta quasi a campo vinto, nel senso che la prima risposta suggerita dalle connessioni neurali è quella giusta.

Mettiamo allora una sera al Frignano, qualche minuto prima di Italia-Germania, in compagnia di quello che sarebbe diventato una figura tanto imprescindibile quanto cordialmente sgradita della mia estate: il mio futuro fisioterapista.
Era infatti da qualche tempo che accusavo fastidi all'altezza dei tendini rotulei (che solo successivamente avrei imparato chiamarsi così) e avendo sentito dire un gran bene del ragazzo che alla vigilia del quarto di finale dell'Europeo era di fianco a me (Torre), avevo deciso di raccontargli dei miei disturbi fisici. Il giorno dopo ero già sotto le sue mani, che più di quelle di un taumaturgo tipo il Cavana di Fausto Coppi, parevano tenaglie e motopicchi. Il fatto è che le terapie, i laser e le riabilitazioni mi avrebbero portato via un sacco di tempo ma è proprio quando occorre fare di necessità virtù che si riescono a concentrare meglio gli sforzi, a godere di più dei momenti liberi e scevri di ogni altro impegno, e ciò è proprio quello che avrei poi preso a chiamare "la bellezza della privazione" e che avrei declinato anche in altri contesti. Solo che ancora non lo sapevo o, meglio, non potevo immaginare quanto fosse la definizione più calzante possibile.

L'estate porta sempre in dote una canzone autoreferenziale. 
Al di là del testo, quello che dà un senso compiuto ai miei pensieri è forse il titolo di questa, e spero di spiegarne le ragioni.

In quelle settimane tutto era ancora in divenire, la scadenza del parto era ancora relativamente distante per cui la quotidianità lavorativa si alternava con i week end mangerecci delle sagre intorno a Pavullo. Ricordo, in particolare, quella di Montebonello, in compagnia di Santu, la Silvia, la Benny e Chè, finita in vino e Will Griggs on fire, vero coro mantra dell'estate calcistica, qualcosa che ha alleggerito la Martingala degli 11IS e le "Tre C" del mio compagno di banco.
Con i Linea di Rottura eravamo prossimi all'incisione di un demo e, sostanzialmente, anche abbastanza convinti che non sarebbero intervenuti eventi esterni ad impedircelo. Nondimeno sarebbe andate tutto a carte quarantotto perché ciò che era previsto di lì a una dozzina di giorni si sarebbe reso imprevedibile e quella che doveva essere una settimana di lavoro nello "studio" di registrazione si sarebbe trasformata nei miei primi giorni da papà e tutto avrebbe ineluttabilmente cambiato di forma.
Questa è una versione dei fatti ma come in ogni grande storia ce ne sono altre e quella che io preferisco parla invece di una fine molto più rock'n'roll, parla di diserzioni improvvise, di incomprensioni e di ammutinamenti. Un vero peccato ma, per fortuna, non tutto è andato perduto e qualcosa si può salvaguardare; è stata una soddisfazione ricevere i complimenti da Zaga (il miglior bassista di Maranello e provincia) mentre la Giuliana della bottega lì dallo Squalo mi preparava un panozzo col cotto e fontina, e lo è stata perché lui non sapeva che non esistessimo più, le sue parole erano sincere perché svincolate da qualsiasi altro giudizio. Di base io credo a chi comunica col cuore e Zaga in quel momento lo stava facendo.

The Last Date: Real Pleasure ft Linea di Rottura- Live in Fogliano

La gravidanza è qualcosa che, finché non ci si ha a che fare, pare estremamente lontana, come se si parlasse di avventure ai confini della realtà che solo qualche argonauta di passaggio pare aver vissuto e che, in fondo, non ci potranno mai coinvolgere così tanto. Invece se ne acquista familiarità tutto d'un colpo, come se fosse un naturale processo di assimilazione. Così funziona la perdita delle acque, così funziona la trasvolata col fazzoletto bianco fuori dal finestrino e così funziona la partita in ospedale.
Una cosa io speravo, ossia che non mi toccasse andare in sala parto di sabato, più che altro perché avrei preferito che la piccola nascesse fra la settimana, così da concedermi di assentarmi dal lavoro per la più nobile delle cause, e questo perché sono un genio del male egoista e senza scrupoli. Invece la ragazza aveva deciso di fare tutto a partire dalle dieci del mattino di sabato 9 Luglio, che a Pavullo era pure giorno di mercato: simpatica fin da subito, niente da dire (e forse non tutti sanno che la viabilità cittadina è in mano, come dice sempre Santu, a una persona cattiva o ad Andrea Bocelli, per cui potete immaginare quanto sia comodo percorrere le strade di paese quando le macchine in pista sono più di una).
È difficile trovarsi in quelle stanze e convincersi che tutto proceda regolarmente, è anche problematico capire come muoversi, in quale maniera far passare il tempo e ingannare l'attesa, specie se questa, come nel nostro caso, si sarebbe rilevata più lunga di quanto ci potessimo aspettare.
Avevo dovuto inventarmi un passatempo, cercare video su youtube che assomigliassero a documentari ma che, allo stesso modo, fossero interessanti. Cosa di meglio dello stragismo italiano degli anni di piombo?

Paura, eh?

Poi, giunta l'ora (du' dé dàp) è stato un greatest hits di attimi inenarrabili: l'improvviso svelarsi di una nuova vita, il taglio del cordone ombelicale, il contatto pelle a pelle tra madre e figlia, e un'odore che penetra nella testa e non ne esce più, quasi fosse unico al mondo. Questo sentore meriterebbe un capitolo a parte perchè si percepisce di poterlo conservare per sempre, quasi fosse un'idea cui aggrapparsi, un'intangibile foto mentale che rimane tatuata nel senso dell'olfatto, anche non dovesse avvertirsi mai più. Alla fine il bisogno, una volta smesso di camminare avanti e indietro senza capacitarmi di quanto fosse successo, e ripreso possesso del periscopio emotivo, di bere una birra al bar e fare le telefonate di rito.
Soprattutto però è stato come se solo in quegli istanti, e tutto d'un tratto, avessi preso coscienza di un prima e un dopo, quasi mi rendessi conto che ci fosse stato "un post senza essere mai stato niente".


Giovanni Lindo Ferretti è, da sempre, il mio speech-writer di fiducia. Qualsiasi cosa io voglia esprimere, lui lo ha già fatto e meglio.

Una cosa da me sarebbe stata pubblicare, immediatamente dopo il lieto evento, un'enciclica su facebook dove catalogare la mia commozione e la mia meraviglia ma la verità è che non avevo tempo di sviscerare i miei sentimenti perché il lavoro mi rincorreva, l'improrogabile demo che avremmo dovuto registrare con i LDR anche e, non ultimo, le sedute in palestra si stavano facendo stringenti e tassative. Per farla breve, una cosa che avrei dovuto fare subito, se non altro perché quando le sensazioni son più vivide diventa più facile riassaporarle successivamente, l'avrei fatta mesi dopo, la sto facendo ora, sbobinando tutte le emozioni messe in appunti e raccolte nel taccuino più brenso che abbia mai compilato da quando ho l'abitudine di vergare i pensieri che mi invadono la testa.


Rebranding di se stessi

Per una completa narrazione dei fatti val la pena ricordare la sfilata di facce viste in quegli istanti e in quei giorni. I genitori dell'Ile in reparto grazie ai buoni uffici della mamma, la birra nel cortile dell'ospedale con la Benny e Chè, accorsi non appena saputa la notizia, Max, Mario e tutti i magi precipitatisi, i borlenghi di Miceno da portare a donna Ilenia, il brindisi con Cavani mentre un venditore porta a porta di folletto non credeva -alle 8.30 di sera- che la mater familias fosse in altre faccende affaccendata, e infine le numerosissime visite in ospedale, a casa e in occasioni di pranzi e sagre (della cui frequentazione detengo ora il record assoluto).

Sagra di Polinago, 16/08/2016. 
Metto questa foto a compendio di tutte le uscite e le occasioni in cui ho incontrato amiche e amici, ed esclusivamente perché mai e poi mai riuscirei a citare tutti. Ma non dimentico la sagra di San Dalmazio con Gav e Baiso, il pranzo da Romani con Luca e la Silvia, il granvarietà profano e religioso di Crocette con Berta, Mi, Benny e Chè, la cena dal Bambulot con Cawa e Delgiu, il post-battesimo molesto con Luca D'Andrew e Paolo, lo spensierato pomeriggio con il Play, l'estemporaneo aperitivo dal Claudiano a Lama, il pranzo del 15 d'Agosto con la famiglia Canalini e la mia, la Lety al battesimo, e poi chissà cos'altro ancora che non ricordo.

Spero di aver ringraziato personalmente ogni amico ed ogni amica che ci sono venuti a trovare, dedicando a noi un po' del loro tempo, perché non basterebbe un'enciclopedia omnia per elencarli tutti in queste colonne. È che, come i miei ultimi articoli, questo resoconto altro non è se non uno scatto molto lungo, come quello che si usa per le fotografie notturne, capace di captare molte cose ma lasciando solo percettibili, seppur leggermente sfocate, molte altre; così è per le persone incontrate e intercettate in quei giorni.
Comunque sia andata, nel frattempo ho acquisito una nuova consapevolezza, ovvero trovarsi di fronte a una realtà del tutto inaspettata, o forse no, perché mai come nel caso di una figlia appena nata si ha l'ennesima conferma che i competenti, ancora una volta, si sono sbagliati, che anche quelli che mai sarebbero diventati ciò che avevano giurato e spergiurato di non essere, stavano per fare i conti con loro stessi. E avrebbero pagato tutto con interessi da usura ma, ciononostante, ne avrebbero colto la bellezza in una serie di accezioni diverse, individuando questa in alcune delle sue stesse privazioni.

Lasciatemi spiegare

I miei sabati mattina sono sempre stati all'insegna di una sveglia lesta e molesta, dell'attività fisica e della scrittura. Dopodiché a mezzogiorno iniziava il week end. Per dirla alla Rast Cohle, intellettuale di riferimento della mia esistenza terrena:"Thursday is my day off, I started drinking at noon"; ebbene, se al Thursday sostituiamo il Saturday... here I am, o più probabilmente there I was.
La piccola ha cambiato le mie abitudini serali e festive, per cui al sabato mattina, per qualche tempo, non è più stato possibile mantenere fede ai miei classici impegni, occorreva accudire la bimba e far rifiatare la mamma. Allo stesso tempo però potevo concentrarmi su dischi da ascoltare e film/serie tv da vedere, infatti con una monella a carico si diventa multitasking, seppur all'interno di certi limiti.
Tra i doveri e gli affari di cui ho fatto menzione quattordicimila righe fa, mi ero perso buona parte della programmazione di Sky e ritrovarsi registrati tutti gli episodi di Agent Carter (o, meglio, DELL'Agent Carter: siamo emiliani e lei è una donna, per cui anche il genitivo dev'essere declinato al femminile) è stata un'epifania, che Dio benedica l'on demand.
Ora, dovrei giustificare i miei interessi televisivi, spiegare perché l'inglesina e le Industrie Stark, che hanno tutta l'aria di essere cattive abitudini e sfide al buon gusto, rientrano tra i miei mustsee. In realtà non ho modo né alcuna intenzione di difendermi, ogni coglione ha la sua passione e ognuno di noi cova i propri guilty pleasures, ossia pensieri-opere-parole-omissioni, ma soprattutto visioni e ascolti, inconfessabili. Per esempio a me piace Cesare Cremonini e spesso trovo pregevoli i testi di Jovanotti.

A parte gli scherzi, alcune delle linee dell'ultimo singolo "Ragazza Magggica" sono sublimi, è un tratteggio poetico molto semplice ma a suo modo unico, cosa che a Jovanotti, e non ho mai capito come e perché, riesce bene.
Nella fattispecie:
"...e mandi i gatti sui tetti a star fuori le notti, che poi quando è giorno ti sembrano pigri
ma è solo stanchezza di tutta l'ebbrezza di notti d'amore da piccole tigri..."

Insomma, se un domani mi ritrovassi a leggere questo articolo o qualcuno mi chiedesse cosa stesse passando in televisione appena nata la Benedetta, non saprei rispondere, non saprei dire cosa stesse succedendo nel mondo (in realtà sì perché ho conservato i quotidiani dei quattro giorni trascorsi in ospedale e mi salverei in corner) ma di certo ricollegherei a questo momento l'aver visto, anzi divorato, la seconda stagione di Agent Carter, che, cosa ancora non detta, è un gran pezzo di figliola.

A tutto ciò va allacciato anche l'altro grande fatto della mia estate: l'aver ingrassato la categoria dei fisioterapisti. Che se ci penso è anche stata una fortuna esserci andato durante le ferie, due mattine a settimana ad orari improbabili ma almeno quando avevo tempo, cioè non durante il lavoro; il guaio è che uno si sacrifica per un anno, non vedendo l'ora che arrivi il tanto agognato riposo estivo e poi questo si trasforma nell'Agent Carter e nelle sedute di fisioterapia, beh, bene ma non benissimo. Oppure, o forse eppure, è stato proprio questo il bello, la sua stessa astinenza, l'aver dovuto concepire e costruire il tempo in un modo diverso, l'aver concentrato le forze differentemente, aver vissuto in maniera accidentale, rendendomi conto di quanto e come andasse introdotta nella mia vita una nuova parola ma sopratutto una nuova idea, quella di resilienza.
Fa ridere perché ho sempre saputo cosa significasse ma non l'ho sentita pronunciare per una vita e mezzo, fintanto che un telecronista della RAI non me l'ha riportata in auge, definendo così, ossia resiliente, la difesa della Sampdoria governata da Vasco Regini.

Con la preghiera che un giorno Santu mi possa perdonare

In ogni caso "Resilienza" sta a significare la capacità di assorbire colpi senza rompersi e, alla bisogna, trasformarli in nuove energie e opportunità. Così è stato per me, e quello che è spesso stato un mese talismanico si è confermato tale. Ho imparato a godere della gioia di tenere in braccio la bimba mentre guardavo serie tv un-po'-più-che-di-merda, e poco importava non scrivere più o non riuscire a sfogliare una rivista perché alla piccola sarebbe venuta meno la propria comfort zone, tutto acquistava un senso nuovo. M'è piaciuto "sprecare" il mio tempo in palestra con Torre per curare i miei tendini spappolati, parlando di film e di calcio, beninteso quando le sapienti e altrettanto lancinanti mani del mio tutor non scavavano troppo in profondità, derubandomi di ogni forza e respiro. Curioso, quando quasi telepaticamente ci siam trovati d'accordo nel riconoscere in "The Fighter" un'eccezionale pellicola; inammissibile anche che io non l'avessi mai vista prima del 2016.

C'è una nuova tendenza negli ultimi film made in USA: quando pensi che tutto sia finito e ci si aspetta l'happy ending, uno guarda il lettore e scopre d'essere a metà.

Insomma, è stato come reinventarsi, fare un rebranding di me stesso, dovermi immaginare e realizzare in una nuova forma e in una nuova sostanza


Gite fuori porta

Questo intervento di rebranding ha influenzato anche i movimenti: la bimba e la fisioterapia hanno dettato nuove coordinate geografiche e latitudini rimaste inesplorate si sono trasformate in nuovi lidi da apprezzare e assaporare con occhi e sensi quasi sconosciuti prima o, forse, per dirla alla Tolkien, le parole giuste per descriverli potrebbero essere "perduti", "incompiuti"e "ritrovati".

Racconti ritrovati.
Pensandoci a modo, l'ultima volta che mi sono fermato a Pievepelago per più di due minuti è stato quando ho conosciuto il buon Alberto Lioy, cui ho subito inviato un dispaccio radio per segnalargli di aver rievocato il di lui ricordo (e se è in ascolto, non mi sono dimenticato di te, appena riesco ti rispondo),

Il primo sabato mattina di ferie, su consiglio di quell'adorabile gobbo di merda di Torre, mi sono sottoposto a un'ecografia presso uno specialista che opera a Sestola. Dopo anni di assenza dalla cittadina regina del Frignano, vi ero dunque tornato e, il tempo di una vasca lungo le caratteristiche vie, ci siam poi spostati a Pieve per pranzo. Nei dintorni del ristorante sorge un camping che s'affaccia sul fiume Scoltenna e, levate calze e scarpe, ho cominciato a guadarne l'acqua limpida e fredda con la piccola Benedetta in braccio. Ho scattato un mucchio di foto, incantato dalla magnificenza del panorama intorno e stordito dalla sensazione di quiete che mi pervadeva l'animo.
La bellezza della privazione stava (e sta) proprio in questo, la resilienza pure, e se uno ci pensa è tanto banale quanto singolare rimanere ammaliati da una situazione non cercata ma obbligata, provare felicità nonostante si sia costretti a fare qualcosa che sembrava spingere oltre, finanche ad annullarla. Non mi sarei mai sognato di andare a Sestola il primo sabato di ferie nazional-popolare, men che meno di pranzare in un ristorante lungo la via non prima visionato su Trip Advisor, eppure quello che si sarebbe trasformato in un ricordo accidentale, un errore di percorso, sarebbe stato altrettanto e paradossalmente splendido e cruciale.

Band che non conoscerei senza l'endorsement degli Explosions in the sky

Al battesimo della Benedetta il mio caro amico Max mi ha riportato un detto, che ho scoperto essere molto diffuso dalle nostre parti sebbene io non lo abbia mai sentito pronunciare, ossia che "la meraviglia piantata genera sette volte sementa". A corti discorsi significa che qualcosa di insolito, qualcosa che appare come un piccolo prodigio, è in realtà molto fertile, più di quanto non si creda, e si autoalimenta senza necessità di dar profondità o seguito alla sua stessa riprova. C'erano tutti i crismi perché fosse un'estate povera, a suo modo lo è stata e lo sapevo, ma con un peso specifico imponderabile, inesausto di sorprese.
Facendo riferimento al sacramento e ripensando, molto divertito, al messaggio del buon Marchio che, richiamando il battesimo di Nsima sul Garda, si proponeva come uomo degno di officiare la Messa, mi torna ovviamente Castagneto, dove la piccola è stata battezzata.

Tradizioni di una volta: Messa, Processione, Banda e Sagra. 
Benvenuti in Emilia. Manca solo Elvis a chiudere tutto con Can't help falling in love

Infatti se invece di una lei fosse stato un lui, ci sarebbe stata indecisione tra due nomi: Lorenzo e Alessandro, e il mio endorsement era tutto a favore di quest'ultimo. Cosa ci volete fare, se uno è sempre stato innamorato di Alino Diamanti, il pazzo di Prato, fa fatica a discostarsi dal tema. Il fatto è che se avessi saputo che il primo è il patrono di dove Donna Ilenia è born & bread non avrei avuto dubbi; come direbbe Daredevil:"È forse perché son cattolico", o più semplicemente anche perché assistere alla processione del paese con la bimba in braccio è stata un'esperienza fortissima e intensa.


I manoscritti hanno ancora un sapore diverso


Rimini

Anche le vacanze si sono ridimensionate, niente più trip around Europe e niente più Croazia ma solamente qualche toccata e fuga in Riviera, cosa che mi ha fatto strano davvero un bel po'. Non tanto perché non sia più tornato a Rimini e dintorni da quando ero bambino e ci andavo coi miei, perché ci son stato, e tante volte in questi anni, specie a Riccione. E non so quante volte mi son riproposto, tra gli sfottò della Mi e dell'Ile, che una volta vecchio a tutti gli effetti (ossia un VDM oltre i precoci capelli bianchi, ma VDM anche all'anagrafe) avrei voluto trascorrere qui le mie ferie, sentirmi servito e riverito come ci si sente solo quando sono gli albergatori romagnoli a farti da balia.


Si scrive Rimini ma si legge Riviera Romagnola o, per gli amici, Romagna

Beh, è capitato che, un po' per posa e un po' sul serio siamo stati invitati dagli zii di Frau Ile a Cervia, e abbiamo accettato di buon grado di passare là due giorni dopo Ferragosto. Abbiamo prenotato in un hotel senza troppe pretese, una roba rimasta completamente negli anni '80, l'evoluzione -se così si può definire- del classicissimo hotel Grazia. C'erano ancora i telefoni con la rotella, i balconi a piano terra e mandrie di famiglie tedesche che chissà cazzo gli dice il cervello perché continuino a sperperare in Romagna i loro marchi. Ad ogni modo evviva! io ero completamente a mio agio nel retrò e non avevo bisogno di indagare circa i perché fosse bello soggiornare da queste parti, anche se solo per qualche notte e anche se i "perché no?" sarebbero stati molti di più.

Canalino di Cervia. Benny con gli zii - Aperitivo Old Times

Non saprei spiegare, è come se il tempo -inteso come epoca- si sia cristallizzato ma allo stesso modo continui ad andare avanti, adattandosi nei dettagli ma rimanendo ancorato ad un sistema solare tutto suo, quasi fosse una sorta di legge o di giurisprudenza, che per antonomasia è generale nello specifico.
Ero indeciso quale foto postare, se quella di cui sopra o una scattata alla lavagna esposta fuori dal nostro bagno di riferimento a Gabicce (dove saremmo andati qualche settimana più avanti), che riportava le condizioni meteo previste per la giornata, i prezzi del campo da bocce e la password wi-fi. Sì, son stato molto combattuto, perché la seconda, con parco dispendio di gesso distillava, in un numero irrisorio di parole, intere ere geologiche e turistiche bastanti però a chiarire ogni cosa, anche il perché i villeggianti settantenni di circa una generazione fa (o forse due) avessero comprato degli orrendi costumi ascellari che indossano ancora e, soprattutto, come mai siano ancora loro e abbiano ancora settanta anni.
Dopo aver trascorso vacanze nelle Marche e in Croazia, la Romagna sembra qualcosa che funziona bene per andarci il sabato a mangiare il pesce con i cognati o la famiglia, fare un giro per Viale Ceccarini, comprare un chilo di caramelle gommose e poi tornare a casa fermandosi all'IKEA di Casalecchio. Oppure va benissimo, anzi, è straordinaria se intesa come tappa intermedia di un venerdì che fa da vigilia ad un week.end nelle Marche, come tante volte è stato con Berta e la Mi. Ristorantino serale dopo una settimana di lavoro, corsa mattutina al sabato, colazione principesca e poi via, verso Macerata e tutto quello che e sapientemente e avidamente nasconde, tipo il negozio hipster di dischi che ha fatto carriera fino a comparire sulla guida Lonely Planet, certificando così che non fossimo poi così scemi ad essercene innamorati.

Racconti perduti.
Nel primo semestre del 2016 non ho compitamente documentato quanto accaduto se non in questo articolo. Tra le cose perdute della primavera temo ci sia finito uno spensierato week-end in un incantevole agriturismo vicino a San Benedetto del Tronto del quale, purtroppo, non rammento il nome.


Hotel Keller (ovvero del perché il tempo non sia lineare ma circolare)

Quando uno s'è abituato alle Marche, ai suoi incontaminati agriturismi e alla loro pace, che non sto a descrivere ma per cui rimando qui (articolo datato ma sempre valido), è difficile riprendere confidenza con la Romagna strettamente intesa (e, mi sia permesso, mettiamoci dentro anche Gabizzemare e Gabizzemonte) e i suoi ritmi cosi familiari altresì così sdolcinati, a volte eccessivamente abitudinari e altre troppo adulatori. C'è spesso il pericolo che tutta questa cortesia, anche quando mossa da buona fede, si trasformi in un'atmosfera intontente con annesso il rischio che si tenda a guardare ogni giorno come se fosse un giorno qualunque, e non qualcosa da mandare a memoria nel cassetto dei ricordi indelebili di una vacanza. Dopo un po' si sente l'esigenza di cambiare aria, di visitare l'entroterra, di augurarsi il brutto tempo per salire in collina, perdersi tra pievi, castelli e ristoranti di strada in cui ordinare un piatto di passatelli in brodo accompagnati da una boccia di Sangiovese.
Fondamentalmente Gabicce non mi ha detto molto più di questo e anche l'Hotel Keller, dal nome così ariano e così evocativo, lo stesso in cui donna Ilenia era solita andare da piccola rimanendone estasiata, non sembrava più essere quello che era rimasto nel suo iper-uranio di bambina, nella sua isola della felicità. Insomma, è stato molto strano non riuscire ad assecondare il long week-end di relax né a godermelo fino in fondo, tant'è che l'immagine che allego credo sia perfetta, in grado di suggellare magnificamente i miei pensieri.

Immagini senza età dalla Riviera, nonne che svernano e degrado. 
Una foto che avrei potuto scattare vent'anni fa, a dimostrazione che il tempo non è lineare ma circolare, ciò che cambia è il modo di intenderlo. #romagnaparanoica #oioioioioioica

Con uno sforzo più profondo potrei associare idee apparentemente molto lontane, o forse no, volendo intendere che anche uno scenario di decadenza può piacere, risultare suggestivo e rivelare [tante] storie a chi le sa ascoltare. A pensarci bene anche questa è bellezza della privazione e, secondariamente, ma nemmeno troppo, conferma che il titolo scelto per la presente sbabbelata sia quello giusto.

Se passa Cash la Benny s'incanta e s'addormenta, l'ideale nei viaggi lunghi, dove per lunghi si intende della durata superiore ai dieci minuti.
E comunque Fiona Apple  è magnetica, è come il viola sul giallo.

A voler esagerare infilo nel calderone dei "brutti ma buoni" (che se fossero biscotti, questi trend topics non potrebbero che essere definiti così) un ristorante, del quale perché se ne possa parlare con dovizia, occorre fare un passo indietro.
Durante la giornata conclusiva trascorsa a Gabicce, un po' perché la mattinata prospettava un cielo fosco, un po' perché volevamo far tappa d'avvicinamento a casa senza però perdere di vista il mare, avevamo deciso di pranzare a Riccione per poi passeggiare un'ultima volta sul bagnasciuga. Non so per quale ragione io non lo abbia mai scritto in altre e diverse sedi ma nei dintorni della Perla Verde dell'Adriatico conosciamo un pustarlein (come si dice a Modena) che frequentiamo da qualche anno, la cui allure, si badi, è unicamente psicologica. È a vista sulla ferrovia, situato sul lato infelice di Viale Ceccarini (nel senso che sta alla main street del paese un po' come il Craster's Keep sta alla Barriera), gli interni sono da osteria sfigata anni '70/'80 e il personale non è per nulla cordiale e mette pure in soggezione, già troppo se e quando a "grazie" rispondono "prego".
Ebbene, nonostante tutti i nonostante io ho un vero e proprio debole per questa locanda vecchio stampo, dal fare brusco e deciso, logora ma a suo modo pittoresca, specie perché, se uno consulta Trip Advisor impara che al di là di tutti i vulnus suindicati, parliamo di uno dei ristoranti preferiti dalla popolazione autoctona. Può sembrare inspiegabile o forse è il contrario, nella misura in cui si realizza che il riccionese medio vuole spendere q.b. e non ha bisogno che l'oste gli racconti la rava e la fava o lo abbindoli con qualche poesia culinaria circa il pescato del giorno o l'impiattamento destrutturato dei gamberoni. Per cui, do the math, se uno si fa una ragione della ruvidezza dei camerieri, s'adatta agli usi e ai costumi del luogo è già a metà dell'opera.
Per evitare ritorsioni di qualsiasi tipo non voglio fare nomi e cognomi ma per esigenze narrative ho bisogno di affiggere al ristorante un'insegna basta sia, e lo chiamerò "Locanda Laura", sia perché per la consonanza suona bene sia perché Laura è un nome orrendo e quindi mi sembra più che appropriato.

Antipasto caldo e frittura cui accostare un bianchino della casa, giusto cinque tavoli occupati, servizio sgradevole e spesa onesta. Il cielo fuori era grigio ma l'atmosfera che sapeva tanto di estate povera, o impoverita (come la si vuol vedere), è stato l'ennesimo e perfetto wherabout che confermava quanta serenità fossi riuscito a individuare in assenza di grazia. Alla Locanda Laura avremmo potuto preferire qualsiasi altro ristorante, e dire che ne conoscevamo, ma questo contesto era un'altra tacca alla cornice del mio quadro estivo.
Una tranquillità diversa, distaccata e prolungata, che trova la sua condizione ideale nell'armonia degli opposti, nella possibilità di godere delle mancanze, perché queste, se uno ci pensa, sono qualcosa di riservato e segreto, quasi un trucco da non rivelare a nessuno che non lo possa capire.

Honey I'm on fire I feel it everywhere
Nothing scares me anymore

Io son nato a Novembre in una notte brumosa, degna del Regno delle tenebre padane, e penso di non aver mai visto un compleanno senza nebbia, freddo e opacità, qualcosa che non è buio ma cupo sì, ecco sì. Passeggiando sulla spiaggia con la piccola in braccio, mentre il cielo plumbeo dava un attimo di tregua, è stato come se il tempo stesse chiudendo un occhio e un cerchio, unendo i puntini della storia tra padre e figlia, quasi a legare due vite, la più vecchia avvinghiata all'ombra e la più giovane al calore. Lana Del Rey forse ha esagerato nell'intitolare "Summertime Sadness" la sua canzone più famosa, così come Loredana Bertè ha sbagliato a caratterizzare di tanta malinconia "Il Mare d'Inverno", o forse sono state entrambe poetiche ma più del dovuto, non riconoscendo, per ostinazione o rabbia, quanto fascino potesse esservi. Che se uno legge i testi, e lo fa con libertà di giudizio, non può che notare come le differenze tra i loro concetti e il mio siano obbligate a rarefarsi.


#bertalife

Nella mia vita precedente ho sempre dato una grande importanza al running, arrivando a praticarlo anche cinque volte a settimana, sebbene mai ad alto livello. Pertanto ho sempre investito un'oretta del mio tempo in una sgambata quotidiana, quasi più per espiazione dei peccati culinari che per vera e propria convinzione o buona pratica. Lo stop forzato dovuto alla fisioterapia ha cancellato le sessioni di corsa dalla mia agenda, imponendomi di prestare maggiore attenzione alla mia dieta e costringendomi a rigidi training di recupero fisico e motorio. È una specie di miracolo che ora pesi cinque chili in meno rispetto a quando ho cominciato le sedute fisioterapiche, o forse anche questo è conseguenza di un nuovo lifestyle che mi ha obbligato a inserire nei miei pasti una quantità massiccia di verdura e ad avere una maggiore cura del mio corpo. Non so dire se la tendinite rotulea sia stata una fortuna né penso ci sia niente di bello dell'impiegare soldi e tempo in palestra o sdraiato con un laser puntato sulle ginocchia, ma di sicuro la rinuncia a qualcosa da cui mai mi sarei potuto astenere ha condizionato i meglio quelle che in fondo erano bad habits nel mangiare tanto e a caso, e nel correre troppo e in maniera scriteriata.

Nutrizionista ma anche pedagogo


Brindisi alle corriere

Come ultimo inciso (spero ma non credo) provo a giocarmi, tutto in una volta, il matrimonio di Sandro.
Come quando si andava a scuola e l'estate non finiva il 21 di Settembre, bensì il primo giorno di Liceo, così ora non ha termine con l'equinozio di Autunno ma con il ritorno dalla ferie o l'ultimo matrimonio della stagione.
Nella Domenica che chiudeva di Agosto son stato best man di uno dei miei più cari amici e di più lunga data, un ragazzo con cui ho frequentato elementari, medie e Liceo, sempre da compagno di banco. Malgrado la vita ci abbia spinto verso direzioni diverse e per quanto siamo persone dai caratteri e dai comportamenti diametralmente opposti, abbiamo mantenuto salda negli anni una strampalata amicizia che ci ha reso distanti nell'ordinario di tutti i giorni ma non nel minuto dei dettagli.
Il suo matrimonio è stato forse uno dei migliori cui abbia preso parte.
Suggestiva la Pieve romanica tra Campogalliano e Rubiera, assolutamente magnifica la casa colonica dove il party ha avuto evento, persa nella campagna della Bassa e tutta avvolta dall'edera, circondata dalle siepi e grondante di quella squisitezza tipica dei casali emiliani di una volta.
Tuttavia, ciò che più di ogni altra cosa è risultato significativo, è stato rincontrarsi con quasi tutti i compagni del Liceo. Per mia fortuna o, forse, per mia sfortuna, io non ero al tavolo con loro ma con gli amici di Maranello. Immediatamente è scattata una reciproca diaspora tra il mio e il loro tavolo: c'era chi, esausto da discorsi del cazzo, migrava verso il mio, e poi c'ero io che non resistevo dal presenziare al loro pur limitandomi ad assistere con laconica rassegnazione.

Karl Marx sosteneva che ognuno di noi è figlio dell'ambiente in cui è cresciuto, come a voler dire che non è tanto la classe sociale che ci ha generato a condizionare i nostri pensieri ma al contrario lo è una coscienza critica che maturiamo seguendo i nostri maestri di vita, i nostri genitori, i nostri insegnanti di scuola, i nostri colleghi e i nostri amici. Allora penso che, fondamentalmente, chi è cresciuto con me non possa ragionare così diversamente da come faccio io, o per lo meno sussistano le stesse basi da cui partire. Invece no, invece il tavolo del Liceo, al netto dei compagni più cari che continuo a vedere almeno una volta a stagione, era intriso di arrivismo basso-borghese, di confronti, di rimpianti, di scopate mancate ma dai desideri non sopiti e -go figure- di brindisi alle carriere.
Ora, io non sono nessuno per dare patenti morali per cui mi sono ingiunto un categorico "stay calmo", non ho proferito parola al riguardo e ho deciso prima di importunare tutti i baristi criticando i loro gin tonic ("Il gin tonic fa schifo a Manchester, come può pretendere di farlo bene qualcun altro?") e poi di ballare Rovazzi come Oscar Giannino.
A referto va però messa la replica di un caro amico che fa il mestiere più brutto del mondo:"Un brindisi alle carriere? Com'è che si fa? No, perché io vorrei brindare alla mia, perché finisca presto!".

Chicco:"Al matrimonio di Sandro ho visto gente ballare come Oscar Giannino".
Io:"Chi è che ballava come Oscar Giannino?"
Chicco:"Tu, Zeman".
In effetti le diapositive sono inequivocabili...

Ad ogni modo, e per onor di firma e perché non riesco a tacere certe storture mentali, vorrei riavvolgere il nastro di quell'episodio ed esporre un pensiero al riguardo che fa da eccellente corollario a questo post.
Più vado avanti più m'accorgo di quante persone, anche all'apparenza normodotate, cerchino paragoni di vita, s'ingastriscano in comparazioni di bassissimo conio rispetto alle esistenze altrui, i relativi stipendi-occupazioni-uffici-suv-metrature-di-casa-ville-al-mare, cadendo e scadendo in vortici svilenti di brindisi alle carriere.
È un'estate povera la mia o lo è loro vita?
Direi che la risposta giusta sia:"Entrambe", sebbene l'accezione sia diversa. Vuole dire che se la loro miseria lo è nel merito, la mia lo è -no, non mi sto ripetendo...- per privazione, perché assente di quella che per loro è bellezza ma che per me rappresenta la quintessenza della disarmonia tra obiettivi e felicità.

Un amico una volta mi ha riferito una confidenza, ossia che un conoscente comune mi avrebbe considerato poca cosa, niente più di un italiano medio. Ho accettato il giudizio di buon grado e con immenso entusiasmo, se non altro perché a pronunciarlo è stato qualcuno che non ha niente, un wannabe, qualcuno che preferirebbe spendere ogni week end 70 euro nel ristorante di tendenza per potersi atteggiare ma non andrebbe mai da Bottura dove magari si farebbe un'esperienza sensoriale unica, qualcuno che è convinto che la vita si misuri sul momento e non sulla distanza o sul valore, senza rendersi conto che tutte le sue cambiali di vita vanno scadendo, qualcuno, insomma, che non ha altre credenziali che non siano quelle di sedersi al tavolo dei brindisi alle carriere perché tutti gli altri posti sono già stati occupati: una bella schiavitù di pensiero che non nasconde nessuna bellezza.


Canzone che non c'entra un cazzo ma che ha la capacità di pacificarmi cuore e animo soprattutto quando partono le liriche:"'cause this life is a farce, I can't breath throug this mask".



Protection

Gli altri posti sono già occupati, dicevo, e lo sono da chi ha fatto spazio, per volontà o necessità, ad altri interessi e ad intenti differenti, da chi ha visto del bello a lato, che si tratti di una passione autentica, di una nuova vita, di una porta stretta che non per forza conduce al successo, o sia solo anche andare a mangiare il pesce da Nest a Ubersetto.
All'inizio di questo articolo, vale a dire in un altro periodo storico, m'ero ripromesso di non scivolare nello stucchevole ma, a conclusione della sbabbelata chiedo licenza a me stesso, venendo meno al detto.
Se fosse una canzone, se ancora volessi consigliare un ascolto, pescherei dal mazzo "Protection" dei Massive Attack ma le parole non c'azzeccano un cazzo col presente discorso per cui tengo buona la farina del titolo scartando la crusca del testo.
In tutto quello che non è carriera, che è invece stata privazione di vari tipi di bellezza e che, solo ad uno sguardo disattento, poteva sembrare un'estate povera, io ho provato altre cose che non posso che inventariare in un ultimo flusso di coscienza, che ancora mancava all'appello del mio post tipico, senza pretendere di incardinare i pensieri tra loro.

Come trovarsi catapultato in una videoteca del 1988 e contemplare film ammerreggani di fantascienza, dai titoli intriganti, che riempiono la bocca e dal font pacchiano, per poi scegliere la millesima volta Wargames o Navigator.


  • Constatare che il tempo si è rovesciato come lo spazio in Stranger Things. In maniera meno macabra, s'intende, ma con diverse affinità.
  • Non vedere l'ora che si organizzi un pranzo di famiglia ne è un fulgido esempio.
  • Raccomandarsi di salutare caramente qualcuno non per formalità ma per una questione di qualità.
  • Ritrovarsi inserito in "Padri Sbronzi", la più improbabile ed esilarante delle mie chat Whatsapp.
  • Avere una maggiore padronanza del corpo ed un contingente cambio drastico nelle mie abitudini alimentari: rimpinzarsi di vellutate di spinaci ma patire una voglia matta della pizza del forno di Corradini.
  • Riconoscere amicizie forti su lati che credevo deboli e viceversa.
  • Svariati ubi maior minor cessat.
  • La necessità di riacquistare riviste di turismo e musica (che figo rileggere Il Mucchio dopo anni) perché mi può anche star bene non avere più un minuto per leggere, ma almeno al cesso possedere un mio momento è di vitale importanza, così come lo è documentarsi sfogliando pagine le cui parole siano un pelo più elaborate di quelle del lavoro:"Attendo riscontro", "Ci riaggiorniamo" e "Vogliate prendere visione".
  • Adottare pienamente la teoria dei pattumi -qualcuno sa perché- così da preservare un sano rapporto di convivenza.
  • Un cero non va mai sprecato.
  • Sistemare le gallerie di foto su whatsapp nell'attesa che vengano pronte le pizze d'asporto.
  • Un when we met first non proprio come me lo sarei aspettato che però ben presto ha portato ad una percezione aumentata dell'istinto, come se potessi cogliere anche solo il respiro della mia bimba, riconoscerne il suono del pianto tra mille.
  • Sciogliersi per un suo sorriso fatto di prima mattina, e svegliarsi di notte solo per vederla dormire.
  • Un buon odore di bucato di vestitini rosa.
  • In definitiva, un più alto senso di protezione di tutte le cose che sembrano e/o sembravano non importare.


Con tutti, ma proprio tutti, i crismi del caso.

Federico Fellini diceva che il cinema è la vita senza i tempi morti. Sandro, l'amico per cui ho testimoniato al matrimonio, e quello fra i miei compagni ad assomigliare più al Professor Dotti (per massime argute e paradigmatiche), sostiene invece che ciò che ci rimane e di cui siamo "obbligati" a godere siano proprio i tempi morti. Aggiungo io, anche i whereabouts, figurati o meno, i dintorni e i contorni di resilienza di cui ho diffusamente argomentato con la presente enciclica. In fondo è sempre una questione di definizione: c'è chi come Sandro spiega tutto con tre parole e chi come me impiega un mese a buttare giù una roba che forse rileggerò solo io tra qualche anno, pensando oltretutto che sia stata scritta da una terza persona.
Che poi la storia di Benedetta abbia meritato perché scritta dal suo papà, a'n'al so po' menga, ma qualcuno di cui non sto a ripetere il nome chiudeva sempre così le proprie lezioni: "De hoc satis et ad abudantiam".

Arrivederci e grazie per l'attenzione.

In my well paid opinion these things they really don't matter
But from my crystal gazing eye there shines a light, like dynamite

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...