Fix the karma Vol. 1

Tempo fa ho cominciato a seguire la pagina facebook dell’Huffington Post, che altro non è se un collettore di notizie di testate giornalistiche on-line e articoli curiosi di blog interessanti, e lo so che questo aggettivo è stato bandito da Captain Fantastic ma non posso farci niente se non entrare nel merito con le righe e la sbabbelata che seguono.

Ho un modello da seguire quanto toccherà a me spiegare certe cose, grazie Captain Fantastic

Le notizie riguardano spesso l’attualità mentre gli articoli sono, come dire, karmici e mantrici, raccolgono consigli e raccomandazioni di esistenza, sono trasposizioni di lezioni di vita che altre persone, meglio informate di noi (o per lo meno meglio informate del sottoscritto), hanno avuto in animo di raccontare per poi diffonderle ai quattro venti della rete. Come dice il signor Sindaco (ossia Max), leggere certe cose è un termometro attendibile di quanto si stia diventando dei VDM, ossia dei Vecchi Di Merda, ma amen; infatti non è tanto questo il peggio, quanto che molto di quello che riportano tali sedicenti influencers risponde a verità e/o interpreta con dovizia di particolari parecchi dei sentimenti che coinvolgono chi si trova tra gli –enta e gli –anta. 

Sebbene dia a questi articoli il peso che si può ad essi dare, e nonostante  non sia un lettore osservante dell’HP, mi sono incarognito con uno in particolare e ho voluto sviscerarlo perché, detta come va detta, mi ha fatto stare meglio. Dopodiché, come da copione, ho pensato diffusamente a come intitolare questo post fin quando non ho convenuto tra me e me che il trend-topic di giornata dovesse essere il #karma o quello che la società moderna ha preso a chiamare così, termine che ho fondamentalmente sempre adorato, non tanto per l’intrinseco significato spirituale che dovrebbe avere ma perché richiama titoli di canzoni che fanno parte del database del mio cuore: su tutte, exempli gratia, Karma Police dei Radiohead, Karma Coma dei Massive Attack e, perché no, Karma Chameleon coverizzata dagli Shandon. Io ho solo dovuto cercare di creare qualcosa di migliore di queste combinazioni di parole e non dico di avercela fatta ma “Fix the Karma” mi piace: semplice, secco e significativo. 

No, take a rest

La struttura è questa. L’articolo, intitolato “22 abitudini che renderanno la tua vita quotidiana un po’ più serena”, a firma di Brianna Wiest, si dipana in altrettanti punti che, vabbè, rappresentano un numero molto calcistico ma abbastanza del cazzo, i numeri dovrebbero sempre richiamare quelli biblici o tolkeniani, che ne so: 3, 7, 9, 10. Comunque sia, prenderò ognuna di queste 22 osservazioni e l’approfondirò in maniera più o meno telegrafica, a volte seria e altre faceta, corredandola poi di un’immagine evocativa o una canzone didascalica dell’intero pensiero. 
E ora fuoco alle polveri. 

1. Getta via, vendi o regala tutto ciò di cui non hai davvero bisogno. Segui questa guida al minimalismo per aiutarti a decidere che cosa ci sia di troppo fra tutti quegli oggetti che conservi. Se c'è qualcosa che potrà servire a liberarti immediatamente dalla tua ansia, riuscendo a metterti a tuo agio, sarà proprio il fatto di compiere la scelta di conservare esclusivamente quegli oggetti che svolgono una loro precisa funzione, oppure quelli che, ai tuoi occhi, rivestono in sé un significato positivo.

Io non ne faccio una questione di minimalismo, piuttosto di bisogno di spazio e di ordine mentale, cose che spesso s’affratellano tra loro. 
Mia nonna materna è un’accumulatrice seriale, un vero e proprio fenomeno da studiare se si vuole un esempio da non seguire. Vive in una di quelle classiche case emiliane tirate su tra gli anni ’60 e ’80, ossia con un piano terra pensato male e fruibile peggio, ove l’unica cosa degna di nota è la “bugadera”; un primo piano abitabile la cui distribuzione delle camere risponde ad uno schema che era obsoleto già al tempo; infine il “tassél”, ovvero il solaio, uno spazio vasto ma angusto in cui riporre tutto quello che non deve essere buttato pur non avendo più alcuna funzione. 
Ebbene, mia nonna è un po’ come l’Occamy, l’animale fantastico che Newt Scamander definisce “aggiustaspazioso”, ossia in grado di restringersi o allargarsi per occupare tutto lo spazio a sua disposizione. Ha stipato il solaio, lasciando che fosse la casuale sistemazione di scatole, scatoloni e zavagli a definire i percorsi lungo cui procedere per districarsi in tale labirinto. 

Amarcord estemporaneo. Quand’ero bambino un gatto spaventato ebbe la malsana idea di salire su per le scale e intrufolarvisi: ogni domenica prego per la sua anima perché davvero non so come sia andata finire, se ne sia mai uscito sulle sue zampe.

Stessa cosa mia nonna ha fatto nei due garage, la dispensa, l’ex-laboratorio di mio nonno, una stanza X al primo piano e via dicendo. Dappertutto è un tripudio di cassette che contengono recipienti, al cui interno sono custoditi astucci, cofanetti, pacchi, pacchettini, ogni tipo e forma di involucro e apparecchiatura raccolta in anni, e tutto disordinatamente diviso, classificato ed etichettato alla porco diaz. Anni fa le ho chiesto in prestito una cyclette, dato che lei non l’adoperava; due settimane dopo ne era già comparsa un’altra, esattamente al posto della precedente (che chissà dove fosse prima), e che comunque faceva solo arredamento.

Al minuto 1.49

Per quanto bene io possa volere a mia nonna e provi per lei un grande affetto, riguardo l’ordine è sicuramente un esempio di contrarietà, ovvero come io non debba fare né diventare. 
Io getto via tantissima roba e lo faccio con metodo e scientificità: se di un oggetto non riesco a trovare un’indispensabile funzione o se non vi lego un indubbio sentimento di appartenenza reciproca, il passo tra il suo ultimo domicilio eletto e il rusco si fa brevissimo.

Sul lavoro è uguale solo che si traduce in “pratiche” e “fascicoli”; l’unica differenza è che negli uffici vige anche un altro principio che trova spesso applicazione:”Se non c’è, non c’è mai stato”, retaggio della vecchia scuola ceramicaia, ossia un’operazione di fine paraculismo che prevede di piallare quei qualcosa individuati in una labilissima mezzavia tra “l’estremamente importante” e “se non ci fosse stato sarebbe stato uguale” (i sudditi di Sua Maestà, gente dalla lingua biforcuta ma estremamente pratica, chioserebbero con:“No harm, no foul”). Quindi fora di bal e alla svelta: se e quando qualcuno ne chiederà conto e nessuno troverà niente, ce ne si farà una ragione.

Invece conservo, in maniera quasi maniacale, gli scontrini e i tickets relativi a viaggi e week end lunghi. Ho appositi taccuini stagionali in cui archivio (leggasi “graffetto y incollo”) tutta la carteria delle gite fuori porta, sia quelle di coppia sia quelle in compagnia. Mi piace ricordare i luoghi che ho visitato, rileggere le date che vengono riportate sopra gli scontrini o i biglietti, vederli sbiadire o ingiallire (tanto ne faccio sempre un scansione preventiva). 
Ho sempre pensato e tuttora penso che sarebbe peccato non farlo, mica tanto perché abbia un significato positivo di per sé, quanto perché non tenere niente è peggio. Esistono giorni melancolici in cui ha senso rievocare il passato, riassaporarlo ma soprattutto ricostruirlo con precisione, ché sono i dettagli a fare la differenza, e sono i dettagli cui non fa mai difetto lo scorrere del tempo, e proprio perché lo fissano e lo cristallizzano, con tutte le formalità del caso, ok, ma con inequivocabile perfezione temporale.


2. Pianifica tutto ciò che fai. E con 'tutto' voglio dire proprio tutto. Tutti i tuoi documenti dovrebbero essere compilati, e le tue bollette ordinatamente archiviate non appena superano la soglia della porta di casa. A loro volta i tuoi vestiti dovrebbero essere riposti in modo che siano facilmente raggiungibili, e le cose di cui hai quotidianamente bisogno dovrebbero essere sempre conservate in un luogo dove tu possa facilmente trovarle. Così facendo ti risparmierai tutte le congetture e il rovistare alla ricerca di quel singolo oggetto qualsiasi che adoperi solo un paio di volte ogni mese (ma che, quando poi ne hai bisogno, è sempre urgente).

How long, Mister White?

A costo di risultare un cazzo di impulsivo-compulsivo, io pianifico veramente ogni cosa, minuto per minuto. Esattamente come Walter White quando deve decidere cosa farne di Krazy 8 e s’appunta su un foglio i pro e i contro d’ucciderlo e/o lasciarlo in vita. Sembra una cazzata ma mettere nero su bianco i propri do’s & don’ts aiuta a focalizzarli: vedere i pensieri ne semplifica il ragionamento che cova dietro.
La prima cosa che faccio quando mi sveglio nei miei giorni liberi è una lista di ciò cui devo mettere un punto; anche qui non è tanto il biffare ogni voce che mi renderà felice, quanto sapere di non aver lasciato nulla di intentato, di non averci ronfato sopra e di aver così alimentato un rimpianto che mi perseguiterebbe per i giorni successivi. Il fatto è che spesso di tratta delle cose più importanti tra le meno importanti, come ricordarsi di sistemare le foto, mandarle a sviluppare, backuppare il cellulare, leggere una rivista che è lì da troppo tempo e cui sono abbonato, scaricare un film che mi interessa, rispondere a un whatsapp lasciato in sospeso da giorni, terminare un articolo che voglio pubblicare, compilare un cd per qualche amico e, ultimo ma non ultimo, preparare i vestiti da indossare durante la settimana (ma solo perché so che alla mattina presto mi romperà tremendamente il cazzo capire gli abbinamenti che Chiara Ferragni approverebbe e quali invece sarebbero da Villa Igea).

Tasto dolente riguarda invece le questioni urgenti, ossia le bollette, le buste paga, l’assicurazione e il bollo, gli abbonamenti telefonici, le scadenze degli smart box, i ticket medici. È davvero come se per non esistesse nulla di tutto questo, quasi che ogni cosa si risolvesse per magia. Il fatto è che la magia ha e ha sempre avuto un nome e cognome, a volte quello di donna Ilenia, altre dei miei genitori, ma non porta né ha mai portato le mie generalità.
Per dire: ho 35 anni e guido da 17: non ho mai lavato la mia macchina, mai cambiato l’olio, mai messo l’acqua per i tergicristalli, non ho la benché minima idea di quando vada fatta la revisione e quasi sempre mi dimentico di mettere il telo sul parabrezza per evitare che ghiacci di notte. Fondamentalmente si tratta di sforzi che non migliorano l’umore, lo peggiorano e più grave ancora è che rubano tempo.
E cos’è che chiamiamo così?
Il lavoro, e, o mi pagano per farlo, o tanto vale esimersene se e finché si può.


3. Non consumare ciò di cui non hai bisogno. E questo è il corollario -- un corollario ben più complicato -- dell'essersi liberati di tutto ciò che non si usa: dopo non potrai semplicemente andartene ad acquistare altra robaccia per rimpiazzare ciò che c'era prima. Quindi compra solo le provviste di cibo che effettivamente mangerai, e sii molto accorto e selettivo nei capi d'abbigliamento e negli altri prodotti che vorrai acquistare. Chiediti: poi li userai davvero? E poi, li desideri veramente, o li vuoi solo per poterti sentire meglio in quel determinato istante? Fidati di me: un conto in banca rimpinguato, e la sicurezza di esser riusciti ad avere un po' più di autocontrollo ti faranno sentire molto meglio (così come del resto avere a disposizione uno spazio domestico semplice che sarai davvero in grado di gestire).

Mia cara Brienne Wiest, ma che, lo dici a me?

Nel 2016 ho comprato un maglione, un berretto e un paio di scarpe. Fine del film.
I primi due a Liverpool perché c’era un freddo troppo grosso e il gelo mi stava uccidendo (#Dryjpn), le “Shoes of Italy” invece -dopo lunga consultazione con il mio amico Luca nelle vesti di trend-setter low profile- perché era un mese e mezzo che non mi cambiavo le New Balance e da beige stavano diventando quel classicissimo marrone sporco di merda.
Per tutto il resto ci sono i regali di mia madre sotto l’albero di Natale.

Manchester Blitz, Aprile 2016


4. Metti te stesso al primo posto davanti alla tua vita lavorativa, e fallo il più spesso possibile. Ovvio che ci sono delle eccezioni -- come quando ti tocca prenderti cura delle tue responsabilità, e in nome di esse rinunciare a qualche altro minuto di sonno per un'email importante -- e qui tutto bene, almeno finché resti del punto di vista che tu non sei il tuo lavoro. Tu sei molto di più di ciò che fai e di quanto guadagni.

Questa è forse la più infelice tra le tante voci dell’arcipelago del mio io.

Penso che la più grande lezione di vita che io abbia mai imparato sia stato quando una mia cara amica mi ha detto che certe cose vanno fatte e basta: è il senso del dovere. Il corollario di questo è stato invece definito dalla persona di cui ho preso il posto nella seconda azienda in cui ho avuto la sfortuna di capitare, ossia che bisogna lavorare onestamente ogni ora possibile. Il guaio è che la combinazione dei due principi è devastante, soprattutto nella misura in cui non si riesce e renderli scevri dalla propria vita personale.
Sono tante, troppe, le notti in cui mi sveglio attanagliato da un brutto pensiero lavorativo, un’urgenza impellente che dovrò sbrigare l’indomani, per cui dovrò essere il più puntiglioso possibile, rispettando ogni step quasi fosse un comandamento, e allora mi tiro su e mi mando delle auto-mail così che il giorno dopo le legga a mo’ di promemoria. È una pazzia, me ne rendo conto, ma è qualcosa di ineluttabile.

The pressure, I got the poison I got the remedy, I got the pulsating, rhythmical remedy. 

Il discorso però è un altro perché questa non è di certo la parte peggiore. Ci stanno i lunedì sturmunddranghiani, sono ordinari nel rompimento di cazzo che è loro proprio; non ci sta che il disagio e la pressione si trascinino per tutta la settimana, specie quando sono dovuti a persone o eventi che avvelenano l’ambiente e il contesto lavorativo.
Le ricette sono poche, non esistono terapie né farmaci calmanti, non ho il rimedio se non pensare a cose belle per riprendere sonno, occupare la mente con tutte quelle situazioni piacevoli che si materializzeranno quando sarò a casa. 
Le prime rimandano a memorie di luoghi belli o fascinosi in cui sono stato e dove vorrei ritornare e dato che sono io a decidere quali scegliere spesso li cambio, ma con altrettanta frequenza sono essi stessi a manifestarsi e a farlo senza soluzione di continuità. Si tratta di ricordanze serene che instillano in me un senso di inattaccabile tranquillità, è come se invocassi il mio patronus.

Avrei potuto mettere un sacco di cose, che ne so la strada del Market Street a Manchester, tra l’altro una delle “storie laterali” più belle che abbia mai scritto, l’Hafen ad Amburgo, le vie di Aosta, arrivare a Trieste dalla Slovenia ma, scartabellando ho rinvenuto questa foto di Lubiana e forse quesa piccola bomboniera un po' austro-ungarica e un po' italiana, dove da una parte del fiume ti servono del rosso fermo e dall'altro della birra lager, spiega tutto. Sì, Lubiana spiega tutto.

Le seconde sono molto più semplici ma di una forza invincibile. Il pensiero di tornare a casa e vedere mia figlia sorridere, rendersi conto di cosa voglia dire declinare la parola “felicità”, comprendere che si tratta di un sentimento che dà significato a parole che altrimenti sarebbero sempre state vuote, come “indescrivibile”, “purezza” o “contentezza”.


5. Fa' qualcosa che ti aiuti a meditare. Se startene lì seduto a gambe incrociate a respirare non dovesse far per te, trova qualcos'altro che ti vada bene. Svolgi una qualsiasi attività che sia in grado di farti sentire più ancorato e presente a te stesso, e nell'istante. Se ciò significa metterti al volante e farti un bel po' di chilometri coi finestrini abbassati e la musica della radio che pompa a tutto volume, fallo. Se ciò significa metterti a ballare, fallo in camera tua, ogni giorno.  Se ciò significa metterti a dipingere, pianifica il tuo tempo per poter fare anche quello.

No, fa ridere perché se penso a me stesso ballare da solo in camera mia, il primo video che mi viene in mente è quello di Paul Kalkbrenner.

È troppo me

Se occorre svegliarsi prima per avere il tempo di dar fondo a una mia passione, ossia scrivere, allora (yes) alarms (and yes surprises) sin dalle 5.30. Poco importa quale ne sia il motivo: per me è terapeutico, mi fa stare meglio e mi tiene vivo mentalmente ed intellettualmente. Niente in tutto, anche solo preparare un articolo per i blog (l’Indie Open Bar o gli 11 Illustri Sconosciuti), tenere aggiornato il mio rapporto epistolare con l'amico americano ma soprattutto tutto l’indotto che queste cose portano con loro. Perché scrivere significa sbobinare gli appunti presi sui taccuini, ricopiarvi frasi degne di nota trovate sulle mie riviste di riferimento, vergare calibri nero sul bianco di word, cercare sinonimi, non ripetersi, dare seguito all’insorgere di nessi, imparare parole nuove e vederle scritte così che prima o poi riesca ad importarle nel mio parlato, inserire idiomi e modi di dire stranieri di cui acquisisco nozione guardando i film in lingua originale (99% sottotitolati, a onor del vero).

Infatti un’altra piacevole parentesi della mia pianificazione settimanale è quella del dedicare tempo a serie e film. Ciò che non riesco a vedere durante i giorni feriali lo concentro in quelli festivi, quando nella mia mini-palestra (tapis-roulant, bici coi rulli e tappeto, nothing more, nothing less, only love) trovo due ore per mettere su e guardare senza interruzioni coniugali le mie serie e i miei film favoriti. Un po’ per necessità e un po’ perché in fondo mi piace, ho preso a vederli in lingua originale ed è un arricchimento culturale che diversamente non avrei mai. 
Sembra un discorso banale ma non lo è. 
Finché si studia al Liceo e si frequenta l’Università si rimane sempre in contatto con una certa “intellighenzia”, i professori usano un linguaggio specifico, nelle facoltà è ancora più forbito e, quando si entra nel mondo del lavoro, per quanto l’ambiente possa essere avanguardista e dallo stile che strizza l’occhio al milanese imbruttito, bene o male si ricorre sempre alle stesse parole, ad una lingua franca che nasce, si sedimenta ed “evolve” (il virgolettato d’obbligo) tra le scrivanie dei vari uffici.
Quando mi capita di partecipare a corsi e conferenze è per me una ventata d’aria fresca aver la possibilità di ascoltare relatori più “Lessico e Nuvole”, così intriganti nel loro risultare squisitamente accademici, perché rappresentano un momento seminale di nuove idee. Anche seguire la rassegna stampa estera di Radio 3 Mondo, condotta da Luigi Spinola (mio nuovo opinion leader) che legge e traduce a braccio i titoli e gli articoli delle principali testate giornalistiche estere, così come (accetto offese) ascoltare un programma di un tizio della stessa emittente che descrive le opere liriche ed i concerti classici in un modo così raffinato e coinvolgente che io, che me ne sbatto bellamente il cazzo dell’argomento in questione, ascolto avidamente qualsiasi cosa dica, prendendo appunti mentali che provvedo a trascrivere sul blocco note del mio furbofono non appena arrivato a destinazione e fermato la maghena.

Consiglio la lettura di questo articolo

È triste infatti quando si realizza d’essere ancorati alla viralità linguistica dei social networks, a ripetere in loop termini e modi di dire che hanno preso voga (io penso che “posso accompagnare solo” sia il top del peggio, fa veramente schifo al cazzo), e non solo diventano noiosi nel tempo di un amen, ma son svelti come la polvere a rendersi fastidiosi. 
Mutuare gli idiomi stranieri dei film (anche estirparne l’etimologia, per esempio:“live on borrowed time” si traduce in italiano con “avere le ore contate” ma qual è quello più ricco di polpa?), così come pescare in contesti che sembrano lontani anni luce dalle nostre frequentazioni culturali rimane il solo modo per tenere aperta la propria mente, come avrebbe detto qualcuno:”Think different”.


6. Impara a trasformare le tue attività domestiche in pratiche di natura terapeutica... ad esempio, il momento del bagno. Tanto lo devi fare comunque, e quella combinazione di acqua calda, dell'atto fisico del "ripulirsi" e del rilassamento dovuto a una doccia tiepida o a un lungo bagno alla fine di una giornata interminabile lo rendono una pratica quotidiana ideale per calmare i propri nervi. Accenditi una candela, metti su un po' di musica e adopera dei sali per lavarti. Fa' sì che i tuoi rituali assumano una natura meditativa, e concentrati sull'atto del lasciarti andare e del fare pulizia.

Sono completamente d’accordo a metà. Non posso dire che mi sia rimasta molta libertà nelle mie attività domestiche, giusto qualche ora nel week end. Però quei pochi tempi sono lenitivi del disagio che comportano settimane brense di lavoro, insomma, quando si dice sfogarsi. Correre da solo o in compagnia, combinare a questo la visione di film o serie, esercitarsi con stretching e addominali, quindi docciarsi col sottofondo di canzoni rubricate alla sezione “guilty pleasures” e poi avere la casa illuminata da candele profumate e da qualche yankee candle. Condizioni omosessuali finché uno vuole ma piacevoli e atte a creare situazioni rilassanti e zone confortevoli.
In fondo però c’è solo una ragione per cui mi sono dilungato a trattare questo punto, ossia che l’aggettivo plurale “rituali” mi ha suggerito il pezzo-corollario da utilizzare come seguito (e siamo a 2 canzoni dei Massive Attack, non fosse chiaro che sono al top della mia scala sociale musicale).

Video e canzone straordinari


7. Comincia a compilare un tuo libro delle citazioni. È una raccolta di frasi, idee e paragrafi che risultano particolarmente in grado d'ispirarti e di farti riflettere, da trascrivere, organizzare e archiviare accuratamente, di modo che poi tu possa facilmente ritrovare qualsiasi cosa cerchi in un determinato istante. Suddividilo in capitoli dedicati a "ispirazione", "guarigione", "rapporti umani" o "lavoro", e tieni costantemente traccia di tutte quelle piccole cose in cui incappi che saranno in grado di fornirti quell'ispirazione di cui hai bisogno.

Credo d’avere già implicitamente esposto questa mia tendenza, sebbene non sia ancora arrivato al livello di frazionare i miei appunti per temi di interesse. L’unica aggiunta che mi sento di fare è come io trovi influenze nelle parole spicce di persone al di sopra di ogni sospetto, che nemmeno sanno d’avere assorbito completamente la mia attenzione. Menti brillanti le cui parole nei post di facebook possono apparire come un momento estemporaneo per qualcuno, mentre per me rappresentano molto più di un pensiero da accarezzare ma qualcosa da radiografare e fare mio, che mi serve da ponte tra quello che in testa e che, prima o poi, avrò l’esigenza di trasformare in forma scritta.
È buffo perché spesso mi chiedo se queste persone mi leggano, rinvengano le loro impronte nei miei articoli, se intendano la mia (nemmeno troppo) mascherata ammirazione come stalking o se ne compiacciano, comprendendo che le loro idee sono un modello di riferimento per qualcuno, per quello e per quanto possa valere. "You can't disguise" avrebbero cantato i Travis.


8. Tieni un diario incostante. E non star lì a preoccuparti di dare alla tua vita una forma narrativa... un po' come il libro delle citazioni, limitati ad appuntarti le tue idee, epifanie ed osservazioni man mano che ti sovvengono, nella vita di ogni giorno. Poi sarai libero di tornare a riflettere su tutte quelle cose che più di altre ti hanno portato a volerti esprimere, e ciò sarà in grado di fornirti un'idea di che cosa tu abbia bisogno di cambiare all'interno della tua vita, oppure di fare di più o di meno.

I miei diari incostanti sono il blog dell’Indie Open Bar 1981 e, a suo modo, quello degli 11 Illustri Sconosciuti. Prima d’essere espressione delle mie idee del momento, riproducono le foto del mio io lungo l’intercedere delle stagioni della mia vita, anche quando la cosa cui somigliano di più sono raccoglimenti mistici e personali che ricordano tanto il Bersani solitario che beve la sua misera birra in un tavolo spoglio e triste.

A volte mi sento così e non so se sia bellissimo, bruttissimo o da vero socialista gaudente

Son cazzate, ma ora, con la paternità, penso spesso se e quando mi domanderò se chiudere bottega, archiviare tutto, evitare che mia figlia legga di me, mi conosca per quello che son stato. Quale impatto potrebbe avere su di lei?
Poi, ragionandoci sopra, convengo che un giudizio di questo tipo è troppo legato a questi tempi: chi non ci dice che tra dieci, quindici o vent’anni tutto ciò diventerà la normalità, che sarà in difetto chi non s’è raccontato prima?


9. Quand'è sera accenditi delle candele. La loro fiamma, da sola, è ipnotica e in grado di esercitare un effetto rilassante; diffonderà nello spazio abitativo un odore migliore, e nel complesso gli conferirà atmosfera.

Il sovrappensiero è un’operazione dannatamente complicata che solo quello psicopatico di Morgan è riuscito a descrivere magistralmente.

C'è almeno una strada che si fa sovrappensiero.

Eppure quante volte capita?
Semmai è più facile il contrario, ossia scansare pensieri ingombranti per far spazio ad altri, che è cosa ben diversa dal liberare la mente. Il fuoco invece è per me l’unico salvacondotto di emancipazione da riflessioni più o meno profonde e idee a vario titolo. Non avendo il camino, ripiego sulle candele e, a costo di essere etichettato da Max come un “tiragonnella dei preti”, apprezzo davvero molto la semplice preghiera consigliata durante l’accensione di un cero votivo.

Al di là del significato religioso, è tutto molto tranquillizzante.


10. Sostituisci la tua dose quotidiana di tè/caffè con dell'acqua calda con miele e limone. È una bevanda rilassante, e offre degli incredibili benefici per la propria salute. Inoltre è senza dubbio più economica e più naturale della tua solita alternativa, il caffellatte. Impara ad apprezzarlo.

Più di dire d’aver provveduto a sostituire i quattordici caffè giornalieri con due cioccolate liofilizzate, non so cosa aggiungere, specie perché c’è chi ha già cantato di questo e lo ha fatto decisamente meglio di come potrei mai provare a spiegare io.

E poi... è una questione di qualità o una formalità?


11. Paga solo in contanti. Ti sarà difficile finché non diventerà una tua abitudine, ma quando poi ci riuscirai non sarai più in grado d'immaginare come facessi prima di allora. Ti renderà consapevole di quanto spendi (facendoti capire quanto le piccole cose vadano a sommarsi le une alle altre), ti aiuterà a tenere sotto controllo il budget, e scongiurerà del tutto quel paventato rischio d'aver attinto -- con un determinato acquisto -- al "fondo bollette" (un timore che non dovrebbe mai sorgere).

Questa riflessione dà stimoli per due diversi motivi.
Il primo è proprio perché una delle summenzionate menti brillanti di cui seguo i post con vivo interesse ha recentemente scritto sulla propria bacheca facebook di come pagare in contanti rientri tra le sue good resolutions annuali.
E questo poiché:
A) è più difficile separarsi dalle banconote che dal bancomat;
B) quando arriva l’estratto conto mensile sono lacrime e sangue.
Osservazioni ineccepibili, non fosse quando, senza tanto né quanto, il device del bancomat di San Antonio, Tx, mi mangia la tessera alle ore 7.30 p.m. local time di un freddo e buio sabato sera. Il fatto è che la (grande) banca (non più locale, con sede in Via Rivoluzione d’Ottobre) me ne ha reso uno nuovo solamente una settimana dopo. Ora, non solo ho riacquistato sensibilità verso i contanti ma nei confronti di un sinallagma molto più semplice, ossia quello dello scambio di beni contro denaro.

Ventidue punti in un colpo solo sono davvero troppi.
Ci diamo appuntamento al prossimo articolo, sempre su questi teleschermi.
In ultimo consiglio la visione di questo video, una sorta di poesia moderna, un crudo quanto romantico diario del disincanto.


To be continued...

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