La bellezza della privazione

Tempo di lettura: dalle tre alle quattro ore

Dove eravamo rimasti


Racconti incompiuti

“Facciamo un sunto delle puntate precedenti”: così era solito iniziare le lezioni il mio professore di chimica del Liceo, quello che per molti dei suoi alunni è diventato un personaggio iconico dalle sentenze secche e leggendarie, il mitologico Graziano Dotti. E un recap è quello che vorrei provare a fare circa l’estate appena trascorsa, o per lo meno riguardo questi ultimi quattro mesi, e per farlo vorrei partire da un commento di un’amica al mio più importante post di facebook, quello con cui annunciavo urbi et orbi della nascita della piccola Benedetta.

Di base era sufficiente la sconfitta della Francia per rendere una data memorabile.

"Aspetto una storia dell'arrivo di Benedetta! Meriterà di sicuro, scritta dal suo papà!".
Al gradito messaggio ho risposto di cuore e di pancia:"Il paradosso è che, nonostante per visto e vissuto sia la cosa più forte che potrò mai raccontare, ha messo a tacere anche uno con la mia favella". 
Tuttavia è peccato non scrivere niente, non tenere nulla agli atti. Se non altro perché negli anni questo blog è diventato sincope della mia memoria e a volte torno a leggere vecchi articoli esclusivamente per ricordare meglio come stessi in altri periodi, quali canzoni ascoltassi, che parole usassi, cosa pensassi. Si badi, però, che riprendere in considerazione il passato non si è mai fortunatamente tradotto in un'operazione di rethink (voglio dire, non è mai stato un:"Cosa avrei dovuto fare? Dove ho sbagliato?") bensì in un processo attraverso cui riportare a galla suoni, profumi, odori, volti (anche quelli appena sfiorati e poi di colpo dimenticati) e sentimenti.
Sempre il professore di cui sopra era uso dire:"Repetita iuvant sed scocciant"; verissimo ma tutto questo è proprio ciò che io insisto nel chiamare "la memoria delle sensazioni" ed è quanto tra qualche anno, rileggendo questo post, vorrei rievocare, con tutta la dolcezza e la serenità che mi piacerebbe trasmettere in queste righe (e con la canzone che allego di sotto).

Ogni stagione ha le proprie canzoni, quelle che vanno in loop. E per me questa, tra Luglio e Settembre, è stata una droga.

Potrebbe apparire inevitabile scivolare nello stucchevole, specie perché parlare dell'arrivo di una figlia spinge in questa direzione, ma il mio obiettivo è dare conto dei whereabouts fisici e figurati dell'estate appena trascorsa, delle cose che hanno definito i contorni di questo lieto evento, le cornici che hanno reso memorabile il quadro. Quindi non so se riuscirò a riscontrare il commento della mia amica, almeno non per come lo abbia inteso lei, ma per come l'ho vissuto io sì, forse sì. 
A didascalia del mio ragionamento porto in dote una battuta di "Sicario", un film sorprendentemente intrigante di cui consiglio la visione, dove, ad una certa, un infinito Benicio del Toro zittisce la sparring partner di  turno:"Mi hai chiesto come è fatto un orologio, per ora limitiamoci a controllare che ore sono". 
Ecco, tipo.
Voglio cercare di capire come/dove io sia e cosa abbia appena passato; e come alla fine del film tutto diventa lampante così forse al termine della mia storia se ne saprà (e ne saprò) di più anche intorno al meccanismo che ha animato i mesi più intensi della mia vita.

Io esco pazzo per i film in cui gli ingredienti sono il confine tra Usa e Messico, i cartelli della droga e i Narcotrafficanti. 
Quando poi son fatti da Dio, ciao, ma ciao proprio.


An end has a start

In casi come questo è sempre un casino trovare il bandolo della matassa, decidere da dove iniziare, se avventurarsi in un incipit in medias res, andare a rebours... è complicato anche solo scegliere i tempi e i modi verbali adeguati (anzi, questa è la cosa dannatamente più ardua). Fortunatamente rivolgersi la domanda porta quasi a campo vinto, nel senso che la prima risposta suggerita dalle connessioni neurali è quella giusta.

Mettiamo allora una sera al Frignano, qualche minuto prima di Italia-Germania, in compagnia di quello che sarebbe diventato una figura tanto imprescindibile quanto cordialmente sgradita della mia estate: il mio futuro fisioterapista.
Era infatti da qualche tempo che accusavo fastidi all'altezza dei tendini rotulei (che solo successivamente avrei imparato chiamarsi così) e avendo sentito dire un gran bene del ragazzo che alla vigilia del quarto di finale dell'Europeo era di fianco a me (Torre), avevo deciso di raccontargli dei miei disturbi fisici. Il giorno dopo ero già sotto le sue mani, che più di quelle di un taumaturgo tipo il Cavana di Fausto Coppi, parevano tenaglie e motopicchi. Il fatto è che le terapie, i laser e le riabilitazioni mi avrebbero portato via un sacco di tempo ma è proprio quando occorre fare di necessità virtù che si riescono a concentrare meglio gli sforzi, a godere di più dei momenti liberi e scevri di ogni altro impegno, e ciò è proprio quello che avrei poi preso a chiamare "la bellezza della privazione" e che avrei declinato anche in altri contesti. Solo che ancora non lo sapevo o, meglio, non potevo immaginare quanto fosse la definizione più calzante possibile.

L'estate porta sempre in dote una canzone autoreferenziale. 
Al di là del testo, quello che dà un senso compiuto ai miei pensieri è forse il titolo di questa, e spero di spiegarne le ragioni.

In quelle settimane tutto era ancora in divenire, la scadenza del parto era ancora relativamente distante per cui la quotidianità lavorativa si alternava con i week end mangerecci delle sagre intorno a Pavullo. Ricordo, in particolare, quella di Montebonello, in compagnia di Santu, la Silvia, la Benny e Chè, finita in vino e Will Griggs on fire, vero coro mantra dell'estate calcistica, qualcosa che ha alleggerito la Martingala degli 11IS e le "Tre C" del mio compagno di banco.
Con i Linea di Rottura eravamo prossimi all'incisione di un demo e, sostanzialmente, anche abbastanza convinti che non sarebbero intervenuti eventi esterni ad impedircelo. Nondimeno sarebbe andate tutto a carte quarantotto perché ciò che era previsto di lì a una dozzina di giorni si sarebbe reso imprevedibile e quella che doveva essere una settimana di lavoro nello "studio" di registrazione si sarebbe trasformata nei miei primi giorni da papà e tutto avrebbe ineluttabilmente cambiato di forma.
Questa è una versione dei fatti ma come in ogni grande storia ce ne sono altre e quella che io preferisco parla invece di una fine molto più rock'n'roll, parla di diserzioni improvvise, di incomprensioni e di ammutinamenti. Un vero peccato ma, per fortuna, non tutto è andato perduto e qualcosa si può salvaguardare; è stata una soddisfazione ricevere i complimenti da Zaga (il miglior bassista di Maranello e provincia) mentre la Giuliana della bottega lì dallo Squalo mi preparava un panozzo col cotto e fontina, e lo è stata perché lui non sapeva che non esistessimo più, le sue parole erano sincere perché svincolate da qualsiasi altro giudizio. Di base io credo a chi comunica col cuore e Zaga in quel momento lo stava facendo.

The Last Date: Real Pleasure ft Linea di Rottura- Live in Fogliano

La gravidanza è qualcosa che, finché non ci si ha a che fare, pare estremamente lontana, come se si parlasse di avventure ai confini della realtà che solo qualche argonauta di passaggio pare aver vissuto e che, in fondo, non ci potranno mai coinvolgere così tanto. Invece se ne acquista familiarità tutto d'un colpo, come se fosse un naturale processo di assimilazione. Così funziona la perdita delle acque, così funziona la trasvolata col fazzoletto bianco fuori dal finestrino e così funziona la partita in ospedale.
Una cosa io speravo, ossia che non mi toccasse andare in sala parto di sabato, più che altro perché avrei preferito che la piccola nascesse fra la settimana, così da concedermi di assentarmi dal lavoro per la più nobile delle cause, e questo perché sono un genio del male egoista e senza scrupoli. Invece la ragazza aveva deciso di fare tutto a partire dalle dieci del mattino di sabato 9 Luglio, che a Pavullo era pure giorno di mercato: simpatica fin da subito, niente da dire (e forse non tutti sanno che la viabilità cittadina è in mano, come dice sempre Santu, a una persona cattiva o ad Andrea Bocelli, per cui potete immaginare quanto sia comodo percorrere le strade di paese quando le macchine in pista sono più di una).
È difficile trovarsi in quelle stanze e convincersi che tutto proceda regolarmente, è anche problematico capire come muoversi, in quale maniera far passare il tempo e ingannare l'attesa, specie se questa, come nel nostro caso, si sarebbe rilevata più lunga di quanto ci potessimo aspettare.
Avevo dovuto inventarmi un passatempo, cercare video su youtube che assomigliassero a documentari ma che, allo stesso modo, fossero interessanti. Cosa di meglio dello stragismo italiano degli anni di piombo?

Paura, eh?

Poi, giunta l'ora (du' dé dàp) è stato un greatest hits di attimi inenarrabili: l'improvviso svelarsi di una nuova vita, il taglio del cordone ombelicale, il contatto pelle a pelle tra madre e figlia, e un'odore che penetra nella testa e non ne esce più, quasi fosse unico al mondo. Questo sentore meriterebbe un capitolo a parte perchè si percepisce di poterlo conservare per sempre, quasi fosse un'idea cui aggrapparsi, un'intangibile foto mentale che rimane tatuata nel senso dell'olfatto, anche non dovesse avvertirsi mai più. Alla fine il bisogno, una volta smesso di camminare avanti e indietro senza capacitarmi di quanto fosse successo, e ripreso possesso del periscopio emotivo, di bere una birra al bar e fare le telefonate di rito.
Soprattutto però è stato come se solo in quegli istanti, e tutto d'un tratto, avessi preso coscienza di un prima e un dopo, quasi mi rendessi conto che ci fosse stato "un post senza essere mai stato niente".


Giovanni Lindo Ferretti è, da sempre, il mio speech-writer di fiducia. Qualsiasi cosa io voglia esprimere, lui lo ha già fatto e meglio.

Una cosa da me sarebbe stata pubblicare, immediatamente dopo il lieto evento, un'enciclica su facebook dove catalogare la mia commozione e la mia meraviglia ma la verità è che non avevo tempo di sviscerare i miei sentimenti perché il lavoro mi rincorreva, l'improrogabile demo che avremmo dovuto registrare con i LDR anche e, non ultimo, le sedute in palestra si stavano facendo stringenti e tassative. Per farla breve, una cosa che avrei dovuto fare subito, se non altro perché quando le sensazioni son più vivide diventa più facile riassaporarle successivamente, l'avrei fatta mesi dopo, la sto facendo ora, sbobinando tutte le emozioni messe in appunti e raccolte nel taccuino più brenso che abbia mai compilato da quando ho l'abitudine di vergare i pensieri che mi invadono la testa.


Rebranding di se stessi

Per una completa narrazione dei fatti val la pena ricordare la sfilata di facce viste in quegli istanti e in quei giorni. I genitori dell'Ile in reparto grazie ai buoni uffici della mamma, la birra nel cortile dell'ospedale con la Benny e Chè, accorsi non appena saputa la notizia, Max, Mario e tutti i magi precipitatisi, i borlenghi di Miceno da portare a donna Ilenia, il brindisi con Cavani mentre un venditore porta a porta di folletto non credeva -alle 8.30 di sera- che la mater familias fosse in altre faccende affaccendata, e infine le numerosissime visite in ospedale, a casa e in occasioni di pranzi e sagre (della cui frequentazione detengo ora il record assoluto).

Sagra di Polinago, 16/08/2016. 
Metto questa foto a compendio di tutte le uscite e le occasioni in cui ho incontrato amiche e amici, ed esclusivamente perché mai e poi mai riuscirei a citare tutti. Ma non dimentico la sagra di San Dalmazio con Gav e Baiso, il pranzo da Romani con Luca e la Silvia, il granvarietà profano e religioso di Crocette con Berta, Mi, Benny e Chè, la cena dal Bambulot con Cawa e Delgiu, il post-battesimo molesto con Luca D'Andrew e Paolo, lo spensierato pomeriggio con il Play, l'estemporaneo aperitivo dal Claudiano a Lama, il pranzo del 15 d'Agosto con la famiglia Canalini e la mia, la Lety al battesimo, e poi chissà cos'altro ancora che non ricordo.

Spero di aver ringraziato personalmente ogni amico ed ogni amica che ci sono venuti a trovare, dedicando a noi un po' del loro tempo, perché non basterebbe un'enciclopedia omnia per elencarli tutti in queste colonne. È che, come i miei ultimi articoli, questo resoconto altro non è se non uno scatto molto lungo, come quello che si usa per le fotografie notturne, capace di captare molte cose ma lasciando solo percettibili, seppur leggermente sfocate, molte altre; così è per le persone incontrate e intercettate in quei giorni.
Comunque sia andata, nel frattempo ho acquisito una nuova consapevolezza, ovvero trovarsi di fronte a una realtà del tutto inaspettata, o forse no, perché mai come nel caso di una figlia appena nata si ha l'ennesima conferma che i competenti, ancora una volta, si sono sbagliati, che anche quelli che mai sarebbero diventati ciò che avevano giurato e spergiurato di non essere, stavano per fare i conti con loro stessi. E avrebbero pagato tutto con interessi da usura ma, ciononostante, ne avrebbero colto la bellezza in una serie di accezioni diverse, individuando questa in alcune delle sue stesse privazioni.

Lasciatemi spiegare

I miei sabati mattina sono sempre stati all'insegna di una sveglia lesta e molesta, dell'attività fisica e della scrittura. Dopodiché a mezzogiorno iniziava il week end. Per dirla alla Rast Cohle, intellettuale di riferimento della mia esistenza terrena:"Thursday is my day off, I started drinking at noon"; ebbene, se al Thursday sostituiamo il Saturday... here I am, o più probabilmente there I was.
La piccola ha cambiato le mie abitudini serali e festive, per cui al sabato mattina, per qualche tempo, non è più stato possibile mantenere fede ai miei classici impegni, occorreva accudire la bimba e far rifiatare la mamma. Allo stesso tempo però potevo concentrarmi su dischi da ascoltare e film/serie tv da vedere, infatti con una monella a carico si diventa multitasking, seppur all'interno di certi limiti.
Tra i doveri e gli affari di cui ho fatto menzione quattordicimila righe fa, mi ero perso buona parte della programmazione di Sky e ritrovarsi registrati tutti gli episodi di Agent Carter (o, meglio, DELL'Agent Carter: siamo emiliani e lei è una donna, per cui anche il genitivo dev'essere declinato al femminile) è stata un'epifania, che Dio benedica l'on demand.
Ora, dovrei giustificare i miei interessi televisivi, spiegare perché l'inglesina e le Industrie Stark, che hanno tutta l'aria di essere cattive abitudini e sfide al buon gusto, rientrano tra i miei mustsee. In realtà non ho modo né alcuna intenzione di difendermi, ogni coglione ha la sua passione e ognuno di noi cova i propri guilty pleasures, ossia pensieri-opere-parole-omissioni, ma soprattutto visioni e ascolti, inconfessabili. Per esempio a me piace Cesare Cremonini e spesso trovo pregevoli i testi di Jovanotti.

A parte gli scherzi, alcune delle linee dell'ultimo singolo "Ragazza Magggica" sono sublimi, è un tratteggio poetico molto semplice ma a suo modo unico, cosa che a Jovanotti, e non ho mai capito come e perché, riesce bene.
Nella fattispecie:
"...e mandi i gatti sui tetti a star fuori le notti, che poi quando è giorno ti sembrano pigri
ma è solo stanchezza di tutta l'ebbrezza di notti d'amore da piccole tigri..."

Insomma, se un domani mi ritrovassi a leggere questo articolo o qualcuno mi chiedesse cosa stesse passando in televisione appena nata la Benedetta, non saprei rispondere, non saprei dire cosa stesse succedendo nel mondo (in realtà sì perché ho conservato i quotidiani dei quattro giorni trascorsi in ospedale e mi salverei in corner) ma di certo ricollegherei a questo momento l'aver visto, anzi divorato, la seconda stagione di Agent Carter, che, cosa ancora non detta, è un gran pezzo di figliola.

A tutto ciò va allacciato anche l'altro grande fatto della mia estate: l'aver ingrassato la categoria dei fisioterapisti. Che se ci penso è anche stata una fortuna esserci andato durante le ferie, due mattine a settimana ad orari improbabili ma almeno quando avevo tempo, cioè non durante il lavoro; il guaio è che uno si sacrifica per un anno, non vedendo l'ora che arrivi il tanto agognato riposo estivo e poi questo si trasforma nell'Agent Carter e nelle sedute di fisioterapia, beh, bene ma non benissimo. Oppure, o forse eppure, è stato proprio questo il bello, la sua stessa astinenza, l'aver dovuto concepire e costruire il tempo in un modo diverso, l'aver concentrato le forze differentemente, aver vissuto in maniera accidentale, rendendomi conto di quanto e come andasse introdotta nella mia vita una nuova parola ma sopratutto una nuova idea, quella di resilienza.
Fa ridere perché ho sempre saputo cosa significasse ma non l'ho sentita pronunciare per una vita e mezzo, fintanto che un telecronista della RAI non me l'ha riportata in auge, definendo così, ossia resiliente, la difesa della Sampdoria governata da Vasco Regini.

Con la preghiera che un giorno Santu mi possa perdonare

In ogni caso "Resilienza" sta a significare la capacità di assorbire colpi senza rompersi e, alla bisogna, trasformarli in nuove energie e opportunità. Così è stato per me, e quello che è spesso stato un mese talismanico si è confermato tale. Ho imparato a godere della gioia di tenere in braccio la bimba mentre guardavo serie tv un-po'-più-che-di-merda, e poco importava non scrivere più o non riuscire a sfogliare una rivista perché alla piccola sarebbe venuta meno la propria comfort zone, tutto acquistava un senso nuovo. M'è piaciuto "sprecare" il mio tempo in palestra con Torre per curare i miei tendini spappolati, parlando di film e di calcio, beninteso quando le sapienti e altrettanto lancinanti mani del mio tutor non scavavano troppo in profondità, derubandomi di ogni forza e respiro. Curioso, quando quasi telepaticamente ci siam trovati d'accordo nel riconoscere in "The Fighter" un'eccezionale pellicola; inammissibile anche che io non l'avessi mai vista prima del 2016.

C'è una nuova tendenza negli ultimi film made in USA: quando pensi che tutto sia finito e ci si aspetta l'happy ending, uno guarda il lettore e scopre d'essere a metà.

Insomma, è stato come reinventarsi, fare un rebranding di me stesso, dovermi immaginare e realizzare in una nuova forma e in una nuova sostanza


Gite fuori porta

Questo intervento di rebranding ha influenzato anche i movimenti: la bimba e la fisioterapia hanno dettato nuove coordinate geografiche e latitudini rimaste inesplorate si sono trasformate in nuovi lidi da apprezzare e assaporare con occhi e sensi quasi sconosciuti prima o, forse, per dirla alla Tolkien, le parole giuste per descriverli potrebbero essere "perduti", "incompiuti"e "ritrovati".

Racconti ritrovati.
Pensandoci a modo, l'ultima volta che mi sono fermato a Pievepelago per più di due minuti è stato quando ho conosciuto il buon Alberto Lioy, cui ho subito inviato un dispaccio radio per segnalargli di aver rievocato il di lui ricordo (e se è in ascolto, non mi sono dimenticato di te, appena riesco ti rispondo),

Il primo sabato mattina di ferie, su consiglio di quell'adorabile gobbo di merda di Torre, mi sono sottoposto a un'ecografia presso uno specialista che opera a Sestola. Dopo anni di assenza dalla cittadina regina del Frignano, vi ero dunque tornato e, il tempo di una vasca lungo le caratteristiche vie, ci siam poi spostati a Pieve per pranzo. Nei dintorni del ristorante sorge un camping che s'affaccia sul fiume Scoltenna e, levate calze e scarpe, ho cominciato a guadarne l'acqua limpida e fredda con la piccola Benedetta in braccio. Ho scattato un mucchio di foto, incantato dalla magnificenza del panorama intorno e stordito dalla sensazione di quiete che mi pervadeva l'animo.
La bellezza della privazione stava (e sta) proprio in questo, la resilienza pure, e se uno ci pensa è tanto banale quanto singolare rimanere ammaliati da una situazione non cercata ma obbligata, provare felicità nonostante si sia costretti a fare qualcosa che sembrava spingere oltre, finanche ad annullarla. Non mi sarei mai sognato di andare a Sestola il primo sabato di ferie nazional-popolare, men che meno di pranzare in un ristorante lungo la via non prima visionato su Trip Advisor, eppure quello che si sarebbe trasformato in un ricordo accidentale, un errore di percorso, sarebbe stato altrettanto e paradossalmente splendido e cruciale.

Band che non conoscerei senza l'endorsement degli Explosions in the sky

Al battesimo della Benedetta il mio caro amico Max mi ha riportato un detto, che ho scoperto essere molto diffuso dalle nostre parti sebbene io non lo abbia mai sentito pronunciare, ossia che "la meraviglia piantata genera sette volte sementa". A corti discorsi significa che qualcosa di insolito, qualcosa che appare come un piccolo prodigio, è in realtà molto fertile, più di quanto non si creda, e si autoalimenta senza necessità di dar profondità o seguito alla sua stessa riprova. C'erano tutti i crismi perché fosse un'estate povera, a suo modo lo è stata e lo sapevo, ma con un peso specifico imponderabile, inesausto di sorprese.
Facendo riferimento al sacramento e ripensando, molto divertito, al messaggio del buon Marchio che, richiamando il battesimo di Nsima sul Garda, si proponeva come uomo degno di officiare la Messa, mi torna ovviamente Castagneto, dove la piccola è stata battezzata.

Tradizioni di una volta: Messa, Processione, Banda e Sagra. 
Benvenuti in Emilia. Manca solo Elvis a chiudere tutto con Can't help falling in love

Infatti se invece di una lei fosse stato un lui, ci sarebbe stata indecisione tra due nomi: Lorenzo e Alessandro, e il mio endorsement era tutto a favore di quest'ultimo. Cosa ci volete fare, se uno è sempre stato innamorato di Alino Diamanti, il pazzo di Prato, fa fatica a discostarsi dal tema. Il fatto è che se avessi saputo che il primo è il patrono di dove Donna Ilenia è born & bread non avrei avuto dubbi; come direbbe Daredevil:"È forse perché son cattolico", o più semplicemente anche perché assistere alla processione del paese con la bimba in braccio è stata un'esperienza fortissima e intensa.


I manoscritti hanno ancora un sapore diverso


Rimini

Anche le vacanze si sono ridimensionate, niente più trip around Europe e niente più Croazia ma solamente qualche toccata e fuga in Riviera, cosa che mi ha fatto strano davvero un bel po'. Non tanto perché non sia più tornato a Rimini e dintorni da quando ero bambino e ci andavo coi miei, perché ci son stato, e tante volte in questi anni, specie a Riccione. E non so quante volte mi son riproposto, tra gli sfottò della Mi e dell'Ile, che una volta vecchio a tutti gli effetti (ossia un VDM oltre i precoci capelli bianchi, ma VDM anche all'anagrafe) avrei voluto trascorrere qui le mie ferie, sentirmi servito e riverito come ci si sente solo quando sono gli albergatori romagnoli a farti da balia.


Si scrive Rimini ma si legge Riviera Romagnola o, per gli amici, Romagna

Beh, è capitato che, un po' per posa e un po' sul serio siamo stati invitati dagli zii di Frau Ile a Cervia, e abbiamo accettato di buon grado di passare là due giorni dopo Ferragosto. Abbiamo prenotato in un hotel senza troppe pretese, una roba rimasta completamente negli anni '80, l'evoluzione -se così si può definire- del classicissimo hotel Grazia. C'erano ancora i telefoni con la rotella, i balconi a piano terra e mandrie di famiglie tedesche che chissà cazzo gli dice il cervello perché continuino a sperperare in Romagna i loro marchi. Ad ogni modo evviva! io ero completamente a mio agio nel retrò e non avevo bisogno di indagare circa i perché fosse bello soggiornare da queste parti, anche se solo per qualche notte e anche se i "perché no?" sarebbero stati molti di più.

Canalino di Cervia. Benny con gli zii - Aperitivo Old Times

Non saprei spiegare, è come se il tempo -inteso come epoca- si sia cristallizzato ma allo stesso modo continui ad andare avanti, adattandosi nei dettagli ma rimanendo ancorato ad un sistema solare tutto suo, quasi fosse una sorta di legge o di giurisprudenza, che per antonomasia è generale nello specifico.
Ero indeciso quale foto postare, se quella di cui sopra o una scattata alla lavagna esposta fuori dal nostro bagno di riferimento a Gabicce (dove saremmo andati qualche settimana più avanti), che riportava le condizioni meteo previste per la giornata, i prezzi del campo da bocce e la password wi-fi. Sì, son stato molto combattuto, perché la seconda, con parco dispendio di gesso distillava, in un numero irrisorio di parole, intere ere geologiche e turistiche bastanti però a chiarire ogni cosa, anche il perché i villeggianti settantenni di circa una generazione fa (o forse due) avessero comprato degli orrendi costumi ascellari che indossano ancora e, soprattutto, come mai siano ancora loro e abbiano ancora settanta anni.
Dopo aver trascorso vacanze nelle Marche e in Croazia, la Romagna sembra qualcosa che funziona bene per andarci il sabato a mangiare il pesce con i cognati o la famiglia, fare un giro per Viale Ceccarini, comprare un chilo di caramelle gommose e poi tornare a casa fermandosi all'IKEA di Casalecchio. Oppure va benissimo, anzi, è straordinaria se intesa come tappa intermedia di un venerdì che fa da vigilia ad un week.end nelle Marche, come tante volte è stato con Berta e la Mi. Ristorantino serale dopo una settimana di lavoro, corsa mattutina al sabato, colazione principesca e poi via, verso Macerata e tutto quello che e sapientemente e avidamente nasconde, tipo il negozio hipster di dischi che ha fatto carriera fino a comparire sulla guida Lonely Planet, certificando così che non fossimo poi così scemi ad essercene innamorati.

Racconti perduti.
Nel primo semestre del 2016 non ho compitamente documentato quanto accaduto se non in questo articolo. Tra le cose perdute della primavera temo ci sia finito uno spensierato week-end in un incantevole agriturismo vicino a San Benedetto del Tronto del quale, purtroppo, non rammento il nome.


Hotel Keller (ovvero del perché il tempo non sia lineare ma circolare)

Quando uno s'è abituato alle Marche, ai suoi incontaminati agriturismi e alla loro pace, che non sto a descrivere ma per cui rimando qui (articolo datato ma sempre valido), è difficile riprendere confidenza con la Romagna strettamente intesa (e, mi sia permesso, mettiamoci dentro anche Gabizzemare e Gabizzemonte) e i suoi ritmi cosi familiari altresì così sdolcinati, a volte eccessivamente abitudinari e altre troppo adulatori. C'è spesso il pericolo che tutta questa cortesia, anche quando mossa da buona fede, si trasformi in un'atmosfera intontente con annesso il rischio che si tenda a guardare ogni giorno come se fosse un giorno qualunque, e non qualcosa da mandare a memoria nel cassetto dei ricordi indelebili di una vacanza. Dopo un po' si sente l'esigenza di cambiare aria, di visitare l'entroterra, di augurarsi il brutto tempo per salire in collina, perdersi tra pievi, castelli e ristoranti di strada in cui ordinare un piatto di passatelli in brodo accompagnati da una boccia di Sangiovese.
Fondamentalmente Gabicce non mi ha detto molto più di questo e anche l'Hotel Keller, dal nome così ariano e così evocativo, lo stesso in cui donna Ilenia era solita andare da piccola rimanendone estasiata, non sembrava più essere quello che era rimasto nel suo iper-uranio di bambina, nella sua isola della felicità. Insomma, è stato molto strano non riuscire ad assecondare il long week-end di relax né a godermelo fino in fondo, tant'è che l'immagine che allego credo sia perfetta, in grado di suggellare magnificamente i miei pensieri.

Immagini senza età dalla Riviera, nonne che svernano e degrado. 
Una foto che avrei potuto scattare vent'anni fa, a dimostrazione che il tempo non è lineare ma circolare, ciò che cambia è il modo di intenderlo. #romagnaparanoica #oioioioioioica

Con uno sforzo più profondo potrei associare idee apparentemente molto lontane, o forse no, volendo intendere che anche uno scenario di decadenza può piacere, risultare suggestivo e rivelare [tante] storie a chi le sa ascoltare. A pensarci bene anche questa è bellezza della privazione e, secondariamente, ma nemmeno troppo, conferma che il titolo scelto per la presente sbabbelata sia quello giusto.

Se passa Cash la Benny s'incanta e s'addormenta, l'ideale nei viaggi lunghi, dove per lunghi si intende della durata superiore ai dieci minuti.
E comunque Fiona Apple  è magnetica, è come il viola sul giallo.

A voler esagerare infilo nel calderone dei "brutti ma buoni" (che se fossero biscotti, questi trend topics non potrebbero che essere definiti così) un ristorante, del quale perché se ne possa parlare con dovizia, occorre fare un passo indietro.
Durante la giornata conclusiva trascorsa a Gabicce, un po' perché la mattinata prospettava un cielo fosco, un po' perché volevamo far tappa d'avvicinamento a casa senza però perdere di vista il mare, avevamo deciso di pranzare a Riccione per poi passeggiare un'ultima volta sul bagnasciuga. Non so per quale ragione io non lo abbia mai scritto in altre e diverse sedi ma nei dintorni della Perla Verde dell'Adriatico conosciamo un pustarlein (come si dice a Modena) che frequentiamo da qualche anno, la cui allure, si badi, è unicamente psicologica. È a vista sulla ferrovia, situato sul lato infelice di Viale Ceccarini (nel senso che sta alla main street del paese un po' come il Craster's Keep sta alla Barriera), gli interni sono da osteria sfigata anni '70/'80 e il personale non è per nulla cordiale e mette pure in soggezione, già troppo se e quando a "grazie" rispondono "prego".
Ebbene, nonostante tutti i nonostante io ho un vero e proprio debole per questa locanda vecchio stampo, dal fare brusco e deciso, logora ma a suo modo pittoresca, specie perché, se uno consulta Trip Advisor impara che al di là di tutti i vulnus suindicati, parliamo di uno dei ristoranti preferiti dalla popolazione autoctona. Può sembrare inspiegabile o forse è il contrario, nella misura in cui si realizza che il riccionese medio vuole spendere q.b. e non ha bisogno che l'oste gli racconti la rava e la fava o lo abbindoli con qualche poesia culinaria circa il pescato del giorno o l'impiattamento destrutturato dei gamberoni. Per cui, do the math, se uno si fa una ragione della ruvidezza dei camerieri, s'adatta agli usi e ai costumi del luogo è già a metà dell'opera.
Per evitare ritorsioni di qualsiasi tipo non voglio fare nomi e cognomi ma per esigenze narrative ho bisogno di affiggere al ristorante un'insegna basta sia, e lo chiamerò "Locanda Laura", sia perché per la consonanza suona bene sia perché Laura è un nome orrendo e quindi mi sembra più che appropriato.

Antipasto caldo e frittura cui accostare un bianchino della casa, giusto cinque tavoli occupati, servizio sgradevole e spesa onesta. Il cielo fuori era grigio ma l'atmosfera che sapeva tanto di estate povera, o impoverita (come la si vuol vedere), è stato l'ennesimo e perfetto wherabout che confermava quanta serenità fossi riuscito a individuare in assenza di grazia. Alla Locanda Laura avremmo potuto preferire qualsiasi altro ristorante, e dire che ne conoscevamo, ma questo contesto era un'altra tacca alla cornice del mio quadro estivo.
Una tranquillità diversa, distaccata e prolungata, che trova la sua condizione ideale nell'armonia degli opposti, nella possibilità di godere delle mancanze, perché queste, se uno ci pensa, sono qualcosa di riservato e segreto, quasi un trucco da non rivelare a nessuno che non lo possa capire.

Honey I'm on fire I feel it everywhere
Nothing scares me anymore

Io son nato a Novembre in una notte brumosa, degna del Regno delle tenebre padane, e penso di non aver mai visto un compleanno senza nebbia, freddo e opacità, qualcosa che non è buio ma cupo sì, ecco sì. Passeggiando sulla spiaggia con la piccola in braccio, mentre il cielo plumbeo dava un attimo di tregua, è stato come se il tempo stesse chiudendo un occhio e un cerchio, unendo i puntini della storia tra padre e figlia, quasi a legare due vite, la più vecchia avvinghiata all'ombra e la più giovane al calore. Lana Del Rey forse ha esagerato nell'intitolare "Summertime Sadness" la sua canzone più famosa, così come Loredana Bertè ha sbagliato a caratterizzare di tanta malinconia "Il Mare d'Inverno", o forse sono state entrambe poetiche ma più del dovuto, non riconoscendo, per ostinazione o rabbia, quanto fascino potesse esservi. Che se uno legge i testi, e lo fa con libertà di giudizio, non può che notare come le differenze tra i loro concetti e il mio siano obbligate a rarefarsi.


#bertalife

Nella mia vita precedente ho sempre dato una grande importanza al running, arrivando a praticarlo anche cinque volte a settimana, sebbene mai ad alto livello. Pertanto ho sempre investito un'oretta del mio tempo in una sgambata quotidiana, quasi più per espiazione dei peccati culinari che per vera e propria convinzione o buona pratica. Lo stop forzato dovuto alla fisioterapia ha cancellato le sessioni di corsa dalla mia agenda, imponendomi di prestare maggiore attenzione alla mia dieta e costringendomi a rigidi training di recupero fisico e motorio. È una specie di miracolo che ora pesi cinque chili in meno rispetto a quando ho cominciato le sedute fisioterapiche, o forse anche questo è conseguenza di un nuovo lifestyle che mi ha obbligato a inserire nei miei pasti una quantità massiccia di verdura e ad avere una maggiore cura del mio corpo. Non so dire se la tendinite rotulea sia stata una fortuna né penso ci sia niente di bello dell'impiegare soldi e tempo in palestra o sdraiato con un laser puntato sulle ginocchia, ma di sicuro la rinuncia a qualcosa da cui mai mi sarei potuto astenere ha condizionato i meglio quelle che in fondo erano bad habits nel mangiare tanto e a caso, e nel correre troppo e in maniera scriteriata.

Nutrizionista ma anche pedagogo


Brindisi alle corriere

Come ultimo inciso (spero ma non credo) provo a giocarmi, tutto in una volta, il matrimonio di Sandro.
Come quando si andava a scuola e l'estate non finiva il 21 di Settembre, bensì il primo giorno di Liceo, così ora non ha termine con l'equinozio di Autunno ma con il ritorno dalla ferie o l'ultimo matrimonio della stagione.
Nella Domenica che chiudeva di Agosto son stato best man di uno dei miei più cari amici e di più lunga data, un ragazzo con cui ho frequentato elementari, medie e Liceo, sempre da compagno di banco. Malgrado la vita ci abbia spinto verso direzioni diverse e per quanto siamo persone dai caratteri e dai comportamenti diametralmente opposti, abbiamo mantenuto salda negli anni una strampalata amicizia che ci ha reso distanti nell'ordinario di tutti i giorni ma non nel minuto dei dettagli.
Il suo matrimonio è stato forse uno dei migliori cui abbia preso parte.
Suggestiva la Pieve romanica tra Campogalliano e Rubiera, assolutamente magnifica la casa colonica dove il party ha avuto evento, persa nella campagna della Bassa e tutta avvolta dall'edera, circondata dalle siepi e grondante di quella squisitezza tipica dei casali emiliani di una volta.
Tuttavia, ciò che più di ogni altra cosa è risultato significativo, è stato rincontrarsi con quasi tutti i compagni del Liceo. Per mia fortuna o, forse, per mia sfortuna, io non ero al tavolo con loro ma con gli amici di Maranello. Immediatamente è scattata una reciproca diaspora tra il mio e il loro tavolo: c'era chi, esausto da discorsi del cazzo, migrava verso il mio, e poi c'ero io che non resistevo dal presenziare al loro pur limitandomi ad assistere con laconica rassegnazione.

Karl Marx sosteneva che ognuno di noi è figlio dell'ambiente in cui è cresciuto, come a voler dire che non è tanto la classe sociale che ci ha generato a condizionare i nostri pensieri ma al contrario lo è una coscienza critica che maturiamo seguendo i nostri maestri di vita, i nostri genitori, i nostri insegnanti di scuola, i nostri colleghi e i nostri amici. Allora penso che, fondamentalmente, chi è cresciuto con me non possa ragionare così diversamente da come faccio io, o per lo meno sussistano le stesse basi da cui partire. Invece no, invece il tavolo del Liceo, al netto dei compagni più cari che continuo a vedere almeno una volta a stagione, era intriso di arrivismo basso-borghese, di confronti, di rimpianti, di scopate mancate ma dai desideri non sopiti e -go figure- di brindisi alle carriere.
Ora, io non sono nessuno per dare patenti morali per cui mi sono ingiunto un categorico "stay calmo", non ho proferito parola al riguardo e ho deciso prima di importunare tutti i baristi criticando i loro gin tonic ("Il gin tonic fa schifo a Manchester, come può pretendere di farlo bene qualcun altro?") e poi di ballare Rovazzi come Oscar Giannino.
A referto va però messa la replica di un caro amico che fa il mestiere più brutto del mondo:"Un brindisi alle carriere? Com'è che si fa? No, perché io vorrei brindare alla mia, perché finisca presto!".

Chicco:"Al matrimonio di Sandro ho visto gente ballare come Oscar Giannino".
Io:"Chi è che ballava come Oscar Giannino?"
Chicco:"Tu, Zeman".
In effetti le diapositive sono inequivocabili...

Ad ogni modo, e per onor di firma e perché non riesco a tacere certe storture mentali, vorrei riavvolgere il nastro di quell'episodio ed esporre un pensiero al riguardo che fa da eccellente corollario a questo post.
Più vado avanti più m'accorgo di quante persone, anche all'apparenza normodotate, cerchino paragoni di vita, s'ingastriscano in comparazioni di bassissimo conio rispetto alle esistenze altrui, i relativi stipendi-occupazioni-uffici-suv-metrature-di-casa-ville-al-mare, cadendo e scadendo in vortici svilenti di brindisi alle carriere.
È un'estate povera la mia o lo è loro vita?
Direi che la risposta giusta sia:"Entrambe", sebbene l'accezione sia diversa. Vuole dire che se la loro miseria lo è nel merito, la mia lo è -no, non mi sto ripetendo...- per privazione, perché assente di quella che per loro è bellezza ma che per me rappresenta la quintessenza della disarmonia tra obiettivi e felicità.

Un amico una volta mi ha riferito una confidenza, ossia che un conoscente comune mi avrebbe considerato poca cosa, niente più di un italiano medio. Ho accettato il giudizio di buon grado e con immenso entusiasmo, se non altro perché a pronunciarlo è stato qualcuno che non ha niente, un wannabe, qualcuno che preferirebbe spendere ogni week end 70 euro nel ristorante di tendenza per potersi atteggiare ma non andrebbe mai da Bottura dove magari si farebbe un'esperienza sensoriale unica, qualcuno che è convinto che la vita si misuri sul momento e non sulla distanza o sul valore, senza rendersi conto che tutte le sue cambiali di vita vanno scadendo, qualcuno, insomma, che non ha altre credenziali che non siano quelle di sedersi al tavolo dei brindisi alle carriere perché tutti gli altri posti sono già stati occupati: una bella schiavitù di pensiero che non nasconde nessuna bellezza.


Canzone che non c'entra un cazzo ma che ha la capacità di pacificarmi cuore e animo soprattutto quando partono le liriche:"'cause this life is a farce, I can't breath throug this mask".



Protection

Gli altri posti sono già occupati, dicevo, e lo sono da chi ha fatto spazio, per volontà o necessità, ad altri interessi e ad intenti differenti, da chi ha visto del bello a lato, che si tratti di una passione autentica, di una nuova vita, di una porta stretta che non per forza conduce al successo, o sia solo anche andare a mangiare il pesce da Nest a Ubersetto.
All'inizio di questo articolo, vale a dire in un altro periodo storico, m'ero ripromesso di non scivolare nello stucchevole ma, a conclusione della sbabbelata chiedo licenza a me stesso, venendo meno al detto.
Se fosse una canzone, se ancora volessi consigliare un ascolto, pescherei dal mazzo "Protection" dei Massive Attack ma le parole non c'azzeccano un cazzo col presente discorso per cui tengo buona la farina del titolo scartando la crusca del testo.
In tutto quello che non è carriera, che è invece stata privazione di vari tipi di bellezza e che, solo ad uno sguardo disattento, poteva sembrare un'estate povera, io ho provato altre cose che non posso che inventariare in un ultimo flusso di coscienza, che ancora mancava all'appello del mio post tipico, senza pretendere di incardinare i pensieri tra loro.

Come trovarsi catapultato in una videoteca del 1988 e contemplare film ammerreggani di fantascienza, dai titoli intriganti, che riempiono la bocca e dal font pacchiano, per poi scegliere la millesima volta Wargames o Navigator.


  • Constatare che il tempo si è rovesciato come lo spazio in Stranger Things. In maniera meno macabra, s'intende, ma con diverse affinità.
  • Non vedere l'ora che si organizzi un pranzo di famiglia ne è un fulgido esempio.
  • Raccomandarsi di salutare caramente qualcuno non per formalità ma per una questione di qualità.
  • Ritrovarsi inserito in "Padri Sbronzi", la più improbabile ed esilarante delle mie chat Whatsapp.
  • Avere una maggiore padronanza del corpo ed un contingente cambio drastico nelle mie abitudini alimentari: rimpinzarsi di vellutate di spinaci ma patire una voglia matta della pizza del forno di Corradini.
  • Riconoscere amicizie forti su lati che credevo deboli e viceversa.
  • Svariati ubi maior minor cessat.
  • La necessità di riacquistare riviste di turismo e musica (che figo rileggere Il Mucchio dopo anni) perché mi può anche star bene non avere più un minuto per leggere, ma almeno al cesso possedere un mio momento è di vitale importanza, così come lo è documentarsi sfogliando pagine le cui parole siano un pelo più elaborate di quelle del lavoro:"Attendo riscontro", "Ci riaggiorniamo" e "Vogliate prendere visione".
  • Adottare pienamente la teoria dei pattumi -qualcuno sa perché- così da preservare un sano rapporto di convivenza.
  • Un cero non va mai sprecato.
  • Sistemare le gallerie di foto su whatsapp nell'attesa che vengano pronte le pizze d'asporto.
  • Un when we met first non proprio come me lo sarei aspettato che però ben presto ha portato ad una percezione aumentata dell'istinto, come se potessi cogliere anche solo il respiro della mia bimba, riconoscerne il suono del pianto tra mille.
  • Sciogliersi per un suo sorriso fatto di prima mattina, e svegliarsi di notte solo per vederla dormire.
  • Un buon odore di bucato di vestitini rosa.
  • In definitiva, un più alto senso di protezione di tutte le cose che sembrano e/o sembravano non importare.


Con tutti, ma proprio tutti, i crismi del caso.

Federico Fellini diceva che il cinema è la vita senza i tempi morti. Sandro, l'amico per cui ho testimoniato al matrimonio, e quello fra i miei compagni ad assomigliare più al Professor Dotti (per massime argute e paradigmatiche), sostiene invece che ciò che ci rimane e di cui siamo "obbligati" a godere siano proprio i tempi morti. Aggiungo io, anche i whereabouts, figurati o meno, i dintorni e i contorni di resilienza di cui ho diffusamente argomentato con la presente enciclica. In fondo è sempre una questione di definizione: c'è chi come Sandro spiega tutto con tre parole e chi come me impiega un mese a buttare giù una roba che forse rileggerò solo io tra qualche anno, pensando oltretutto che sia stata scritta da una terza persona.
Che poi la storia di Benedetta abbia meritato perché scritta dal suo papà, a'n'al so po' menga, ma qualcuno di cui non sto a ripetere il nome chiudeva sempre così le proprie lezioni: "De hoc satis et ad abudantiam".

Arrivederci e grazie per l'attenzione.

In my well paid opinion these things they really don't matter
But from my crystal gazing eye there shines a light, like dynamite

Stop overthinking

Ubi lux ibi tenebra (intro)

A lungo ho pensato a come intitolare questo post. A dire il vero avevo coniato -o così mi piace pensare perché non ho avuto tempo di verificarne un'eventuale origine su IL- un motto latino; del resto lo hanno fatto in Inghilterra per le proprie squadre di calcio, perché non avrei potuto farlo io per una sbabbelata qualsiasi?
Avevo dunque pensato di convertire nella lingua dei nostri patres una locuzione sentita anni fa sui canali tematici del National Geographic:"Dove sono luci, là sono ombre"; in latino verrebbe resa da:"Ubi lux ibi tenebra" che, in effetti, suona cento volte meglio.
Tuttavia nel frattempo m'è capitato di vedere il film Trumbo con Bryan Cranston, proprio lui, quello di Breaking Bad, che, come mi ha detto il mio pusher cinematografico Dom, è riuscito con questa pellicola a emanciparsi dal pesante fardello lasciatogli in dote dall'interpretazione di Walter White, cosa per nulla facile.

Nobody has the right to tell you how to write, act, pray, speak, vote, protest, love, work, create, live, talk or think.

Sono rimasto molto colpito dalla visione di questo film. Non solo ho dato ragione a Dom circa la recitazione di Cranston, ma ho raccolto parecchi spunti dalla storia vera cui si ispira, l'ho fatta mia e, più di ogni altra cosa, ho fatto un mio un passaggio, in cui Dalton Trumbo sentenzia nei confronti di un suo collaboratore:"You're overthinking".
Non avendo mai sentito il verbo overthink, ho dovuto evincerne il senso dal discorso generale, un po' come quando nelle versioni di latino occorreva padroneggiare l'argomento che le parole ne sarebbero state naturale conseguenza:"Rem tene, verba sequentur" per dirla con Catone il Censore. Ebbene, intendo che overthink voglia dire "rimuginare", e non potrebbe che essere così perché, letteralmente, la cosa cui s'avvicina di più in italiano sarebbe "Pensare troppo".
Questa cosa mi rimane in testa, ne faccio una sorta di fissazione (come spesso mi capita per quegli argomenti che incuriosiscono solo me) fino a quando mi scappa detto con un amico. Glie ne spiego la genealogia e lui sembra rimanerne interessato. Credo tuttavia che la sua considerazione sia esclusivamente buona educazione, che in realtà non glie ne freghi manco di pezza e che in fondo pensi che io abbia trovato l'ennesima bella parentesi dialettica nella mia inutile vita. 
Invece lo rivedo qualche settimana dopo ad una festa e me lo ritrovo a tavolo nel posto davanti al mio. "Sai che ho pensato a quella parola? Overthinking?". Ne rimango compiaciuto e lo ringrazio per l'attenzione riservatami. Più di ogni altra cosa però riconosco la forza di una parola che è riuscita a scavalcare il mio mero interesse, e quando un termine riesce a dimostrarsi così energico e non necessita di grande pubblicità per divulgare sé stesso, allora funziona e va usato. Con i propri tempi e modi verbali, siam d'accordo, ma va usato.

Dopo grandi tribolazioni mentali ho quindi deciso di accantonare il (seppur bel) motto latino a favore del verbo inglese di recente scoperta, declinandolo però in forma negativa. Perché sì, se c'è una cosa che ho fatto in questa stagione di silenzio radio è stata proprio un'intensa attività di overthinking: pensare troppo attorno alle cose che mi sono accadute, rimuginarci sopra.
C'è però una rassicurante certezza nelle vicende esistenziali, ossia che presto o tardi trovano una fine, e a volte diventa l'unica cosa cui aggrapparsi. È quindi il momento di stop overthinking o, di come mi ha detto una volta la Mi, smetterla di "intricarmi la vita".



È stato un tempo il mondo giovane, forte. 
Sorride confidente il giovane guerriero, in una vecchia foto, tra le mani una treccia. 
Ora, cranio rasato, celebra la sua prima sconfitta. 
Prezioso il luogo, il tempo dovuto al silenzio. 
Qua, ora, io taccio.


Sommaria descrizione dell'accaduto

Intorno alla fine di Gennaio, quando tutte le cose sembravano intercedere lungo il proprio percorso naturale senza discostarsene più di tanto, è intervenuto un evento esterno (l'ho sempre chiamato così e continuerò a fare in questo modo, evitando di entrare nel dettaglio) che ha mandato tutto a carte quarantotto come mai m'era successo prima (fortunatamente e grazie a Dio, cosa che ho sempre tenuto a precisare, niente riguardante la salute mia o quella dei miei cari).
La mia inaspettata e istintiva reazione è stata quella di allontanarmi da tutto e cancellare qualsiasi appuntamento avessi in agenda, a eccezione di quelli improrogabili, sino a quando non si fosse arrivati ad una fine.
Presa consapevolezza d'avere un equilibrio psichico in fase rem, sono entrato in una condizione di damage control che ho cercato di preservare. Però per uno come me, abituato ad abusare dei social network (facebook, instagram, blog e cazzi a mazzi) non è stato tanto difficile starne alla larga, quanto restringere l'ambito comunicativo, ossia non scrivere quasi più, non raccontare più niente a nessuno se non a quelle pochissime persone cui ho lasciato aperta una back door (e il termine, è sottinteso, viene mutuato dal linguaggio informatico, non da quello pornografico).

Dite amici ed entrate

Se in all'inizio non ho accusato questa mancanza, in un secondo momento ho preso a segnarmi sul blocco-note dello smartphone i pensieri che mi passavano per la testa. Infine, quando il tempo ha cominciato a farsi lento e corrosivo, mi son fatto tentare come solo da una buona focaccia con la pancetta o da una pizza appena sfornata, e, visto un taccuino grigio sullo scaffale di una cartoleria, ho deciso di acquistarlo per vergarvi sopra tutte le traversie serie o facete che differentemente si sarebbero trasformate in miei status di Facebook.
Quando le pagine hanno cominciato a tingersi sempre più di nero su bianco, ho realizzato che trascriverle in un post-fiume sul blog sarebbe stata una buona idea, ne sarebbe stato un giusto suggello, quasi dovessi tenere agli atti una serie di lezioni di esistenza e quello fosse il il sistema migliore per dar loro una profondità che altrimenti non avrebbero avuto.
Il problema è diventato il modo. Come fare? Come collegare pensieri per loro stessa natura sconnessi gli uni dagli altri? A tal riguardo maturavo tante mezze idee ma nessuna di queste che diventasse intera.
Per cui ho pensato e tuttora penso che l'unica via percorribile per documentare i fatti sia attenersi al loro semplice svolgimento cronologico e riepilogarli al tempo presente, come se venissero scritti nell'immediato.
Mi sono concesso due eccezioni:
  1. Inserire una postilla nel caso fosse necessario anticipare una spiegazione.
  2. Accostare pensieri solo apparentemente spuri, qualora questi siano intercettati da un topic comune, raggruppandoli sotto una specie di hashtag cumulativo.
Ascolto consigliato: Joy Division - New Dawn Fades
Different colors, different shades over each mistake we made


Bologna - Concerto Fast Animals & Slow Kids

#tracagnottitour2016

Tra gli impegni fissati prima che l'evento esterno contaminasse la quotidianità, avevo in rubrica il concerto dei Fast Animals & Slow Kids al Lokomotiv Club di Bologna. Serata piacevole passata con la buona compagnia di alcuni amici di Pavullo, il buon Marchioni -maestro di cerimonia nonché esperto nell'arte di selfie di merda- su tutti.

Sono state alcune le cose che ho messo a referto circa la serata danzante nel capoluogo.
In primis la consapevolezza di aver sempre vissuto Bologna quasi fosse un tracciato laterale, forte di un presuntuoso antagonismo provinciale. E dire che, tra i venti e i trenta anni, ci sarò stato mille mila volte, ci avrò viste decine di concerti, avrò frequentato un botto di locali diversi e conosciuto un mucchio di persone. Eppure l'ho sempre percepita come una città troppo self-confident, con un'eccessiva autostima di sé stessa, infarcita di gente-di-via che non faceva altro che esaltarla nel minuto e disprezzarla nel grande. Vista e vissuta, anche solo per una sera, con occhi più vecchi e distaccati, mi ha dato l'idea d'essere quella che è sempre stata e che mi auguro sempre sarà: un serbatoio di vitalità e apertura mentale.
Bologna la grassa, Bologna la dotta, Bologna la rossa: sì, è fondamentalmente ancora così. Forse non è più così rossa. Forse.
Poi, è pacifico, annessi e connessi non mancano: resiste una spocchia di fondo, una superbia di base che traspare dal bancone del bar, passa dal fuorisede che sembra conoscere il mondo solo perché la sera prima ha scopato con una local e arriva fino alle icone musicali cittadine, tipo Luca Carboni che, per l'ennesima volta riesce a scrivere una canzone senza dire niente intitolandola "Bologna è una regola", come se menzionare il nome della città c'entrasse qualcosa con il testo.
Ma è la dimensione del ragionamento della gente comune a fare la differenza, un "think big" basato sulla semplice equazione derivante dall'offerta che si può permettere di avere una città di cerniera, commisurata ad una relativa domanda che si autoalimenta per intrinseca logica, una sorta di illegittima ma conclamata capitale di mezzo. Per di più, che non guasta mai, esteticamente bellissima e ricolma di storia.

Se avessi provato anche solo a pensare quello che ho appena scritto, non ne sarebbe venuta fuori una cosa così raffinata. E dire che, rileggendola, credevo fosse una serie di cazzate clamorose tanto per riempire due righe. Invece no.

Ascolto consigliato: Fast Animals & Slow Kids - Coperta

M'ero dimenticato come fosse uscire da un concerto spolto del sudore di altri maschi alpha.

La seconda riflessione muove da/trova conforto nel gruppo, i Fast Animals & Slow Kids, rock band di Perugia. Per quanto non mi sembrino né nulla di nuovo né suonino niente di originale (o, come dice Berta, non si capisce quando finisce una canzone e ne inizia un'altra), hanno catturato la mia attenzione per la suggestione creata dai titoli dei loro album, Hybris e Alaska, i quali non c'azzeccano un'ostia con i testi o lo stile musicale: sono solo nomi evocativi. Il fatto è che io ho sempre subìto il fascino esotico dell'Alaska ma, soprattutto, sebbene non abbia fatto greco so cosa significhi "hybris" e, dato che le cose accadono perché devono accadere, non è un caso che ci sia una connection tra i FASK e l'evento esterno che ha cambiato le carte in tavola. È brutto da pensare e lo è perché "hybris" è una parola pesante, un fardello, un anello di Frodo, eppure se avessi un solo termine per definire la situazione che si è venuta a creare, userei proprio questa.

Una nuova alba, questa è la speranza.

Come si dice spesso delle risposte, queste sono contenute all'interno delle stesse domande. Un analogo ragionamento può essere ricondotto alle canzoni con cui le band chiudono i propri concerti: sono una specie di riassunto, di testamento e di buon auspicio. È forse proprio per questo che l'ultimo brano viene scelto con cura, resiste alle pieghe del tempo e alle mode delle generazioni, e viene cantato da tutti con il cuore in mano come se ognuno dei presenti ne avesse scritto le parole e le sentisse sue, solo sue. I Ministri chiudono con "Abituarsi alla fine"; i Fast Animals & Slow Kids con "Grand Final": direi che sia una buona fotografia musicale delle miei attuali condizioni di esistenza. "Una nuova alba, questa è la speranza".


Farmacista tu, farmacia di turno

In questa serie di giornate una più di merda dell'altra, una buona notizia. All'esame audiometrico il mio udito risulta ok. "Guardi, lei è perfetto", mi dice la Dottoressa dagli occhi verdi smeraldo. Tutto il resto è rivedibile, ma gli occhi, quelli, sono un film. "La ringrazio", e ironicamente continuo:"non me lo aveva mai detto nessuno". Mi dice anche che i miei fastidi sono dovuti ad alcuni tappi di cerume che si sono sedimentati e che provocano dolore. Mi somministra alcune ricette da esibire al mio farmacista di fiducia.

Ascolto consigliato: Elio e le Storie Tese - Farmacista

Farmacista, tu, farmaciadi turno, lucri sul nervoso, lucri notte e giorno.
Psicologo, tu convochi il paziente, prendi tanti soldi, non gli dici niente.

Non ho una farmacia di riferimento ma oggi è il giovedì del calcetto & wellness per cui vado in quella nelle vicinanze dell'Oratorium Stadium di Maranel. Lì vi lavora un ragazzo che ho tutta la ragione di credere sia stato in classe con me in quinta Liceo. Tuttavia, per quanto sembri paradossale, non ne sono certo perché aveva un fratello gemello tale e quale a lui. Dalla maturità in poi abbiamo perso le tracce l'uno dell'altro, per cui potrebbe essere il mio compagno come potrebbe essere il suo gemello. Ne va che ogni volta (a dir la verità, raramente) che sono entrato nella summenzionata farmacia, mi sia sempre trovato in discreto imbarazzo e abbia sempre tenuto alte le carte senza accennare mosse che mi si sarebbero potute ritorcere contro.

Il personaggio incriminato è quello con la faccia di Goku

Questa volta però è differente, e lo è perché ho una ricetta in mano in cui sono riportate le mie generalità, Tra tutti i farmacisti commessi è proprio lui (o il presunto lui) a servirmi. Mi guarda, mi saluta formalmente, legge la ricetta, sparisce nella cambusa e poi se ne esce con i medicinali che mi erano stati prescritti.
F:"Tu sei Simone Ferrari VD Liceo Tassoni, ti ricordi di me?"
Z:"Certo che sì."
F:"E allora perché non mi hai mai salutato tutte le volte che sei venuto qui?"
Z:"Perché tu non lo hai mai fatto!"
F:"Eh, ho capito. Nemmeno tu. Ma io ho una scusa: tu avevi un fratello gemello tale quale a te. Potevi essere lui (o lui poteva essere te)! Se avessi salutato lui scambiandolo per te, che figura di merda avrei fatto? Tu invece che scusa hai?"
Ce la siamo raccontati un po', dopodiché ognuno ha ripreso le proprie occupazioni.
Lo rivedo di tanto in tanto, in posti precisi ad orari ancora più precisi.
C'è voluto un esame audiometrico perché qualcuno di quella classe riallacciasse i rapporti con lui.
Strano, il mondo.

Ascolto consigliato: Bloc Party - I still remember

Non ho mai ascoltato i Bloc Party da quando vivo a San Antonio, TX. Era come se il loro suono malinconico mi mettesse tristezza, poi ad una certa m' venuta un'incredibile voglia di risentire "A week end in the city". Non so, è come se certi stati d'animo trovassero spirito di comunione con determinati generi musicali.


Prese di coscienza (1 di 2)


FUBAR è un acronimo e sta per Fucked Up Beyond Any Recognitions.
Che se qualcuno mi chiedesse se le cose importanti sono ok, gli risponderei che sono FUBAR.

Mi accorgo che qualcosa decisamente non va quando:

  • Tutto mi sembra così lontano.
  • Vorrei poter dire di avere problemi comuni, tipo la lavatrice che non scarica e soffermarmi lungamente sul perché le proiezioni del tempo di lavaggio cambiano in corso d'opera.
  • Non ho voglia di vedere nessuno.
  • Mi addormento a dieci minuti dalla fine dell'ultima puntata di Fargo.
  • Patisco il desiderio di partire, non importa verso dove, e ho improvvisi ricordi dei viaggi fatti, su tutti il porto di Amburgo sull'Elba, il tumultuoso cielo tra Ungheria e Slovenia, le strade assolate della Moravia, il lovely weather di Galway.
  • Covo la semplice voglia di andare al bar e leggere il giornale.
  • Avverto l'esigenza di calar corrente, andar via e non pensare a nessuna urgenza.
  • Sbaglio la consecutio temporum e ho dubbi sul corretto uso di condizionali e congiuntivi.
  • Non scelgo le parole da usare, ma quelle da non usare. Se usassi le prime litigherei con chiunque, con le seconde posso quantomeno evitare di aver a che fare con il densamente popolato mondo dei cagacazzi.
  • Esprimo opinioni senza pensare. Poi realizzo che, in fondo, è un problema così diffuso che non posso essere io a fare difetto: i vari gruppi sei-di-chi-sa-il-cazzo-dove-se si basano su questo principio.
  • Convivo con un'angoscia strisciante che mi priva del desiderio di interessarmi di qualsiasi cosa.
  • La seduzione è dormire.
  • C'è chi mi chiede di riprendere a scrivere su facebook perché manco, che aprirebbe un gruppo a favore del mio ritorno.
  • Febbraio, col suo buio e le sue giornate che invitano a nascondersi in casa, rappresenta una sorta di comfort zone psicologica. È meglio che l'evento esterno sia accaduto ora anziché in estate: con il sole e il bel tempo non avrei potuto sopportare nulla di tutto questo.
  • Confido nella bellezza e nella soddisfazione del poter dire, un giorno:"È tutto finito".
  • I sogni sono affetti da una misteriosa malattia, una meteorologia onirica incontrollabile. Qualcosa che si trasforma in incubo senza essere spaventoso: l'inconscia consapevolezza del disagio interiore.
  • Abbandono la routine e cambio abitudini, quasi servisse a modificare le cose. Quando esco dal lavoro vado in bottega a San Venanzio e a Torre Maina. Andare da Valenti invita a proseguire la strada per casa percorrendo Giardini invece che l'Estense. Ad una certa ora non c'è nessuno che rincasa e c'è solo buio davanti e intorno a me: la calma perfetta. A Torre invece, non so perché, anche se la tengono in frigo, la birra è calda. O forse il frigo non è acceso.

Moving up slowly

Safe from harm?

Prima che l'evento esterno intervenisse a gamba tesa nella vita di tutti i giorni erano stati programmati due eventi intorno a San Valentino: il concerto dei Massive Attack a Padova e un pranzo sociale con gli amici di Maranello. Indeciso fino all'ultimo se andarci o meno, ho preferito non disdire gli appuntamenti in calendario.

Vado a Padova con Berta. Inertia Creeps è il pezzo che meglio descrive il mio stato d'animo e mentale. Nonostante la tetra pesantezza della canzone, scelta a didascalia della gita musicale fuori porta, è una domenica leggermente serena che son contento d'aver trascorso in compagnia del mio best man. Ho sempre voluto vedere/sentire la band di Bristol e, come regalo di compleanno, è sicuramente apprezzato.
Non sapendo a che ora saremmo tornati a casa, ho preferito dormire dai miei a Maranello, cosa che mi riservo di fare raramente. Non ho altri che Cremonini cui affidare i miei pensieri, e purtroppo non è Francesco.

Ascolto consigliato: Cesare Cremonini - PadreMadre

Se son stato così lontano è stato solo per salvarmi

Invece il pranzo sociale si svolge poco sopra Castellarano. I ranghi sono ridotti ma sono fondamentalmente contento di rivedere buona parte dei miei amici. È dura restare semplici in tempi complicati, specie quando si ha scelto la via dell'isolamento. Anche perché dispiace quando qualcuno di molto vicino fa notare che il mio unico argomento è il lavoro: il fatto è che non rimane molto altro quando ci si allontana da tutto. Non è una deformazione professionale, è qualcosa che incrina l'animo umano: si diventa paranoid android e si tralasciano i sentimenti, i momenti riservati ad altre e più nobili emozioni.
Quando cambia l'oscillazione del pendolo, gli orizzonti diversi spostano inesorabilmente gli affetti, anche quelli più profondi, che quasi sembrano svanire, annebbiarsi, trincerarsi nel profondo. Quel che è peggio e che non si può spiegare ogni cosa a tutti e si deve sperare che, a tempo debito, nessuno entri troppo nel merito e chi è rimasto a lato, non dico capisca tutto, ma accetti il minimo salariale.


Sun Valentino - Pranzo Sociale

Torno a casa dal pranzo con una riflessione. È un periodo condensato, in cui ogni emozione, anche quella più semplice, si ingigantisce, come se fosse vitale amplificare l'importanza dei singoli momenti di tranquillità e spensieratezza. E ciò, fortunatamente, stride con il mio taccuino che sta invece diventando un resoconto oscuro, un vortice di turbamenti, come il libro proibito nella biblioteca di Harry Potter, qualcosa che sento il bisogno di sbobinare come, al contempo, di non rileggere mai più, ma che comunque non posso esimermi dall'aggiornare. Perché rimane vero il concetto iniziale, ubi lux ibi tenebra. E, grazie a Dio, vale anche il viceversa.

Ascolto consigliato: The Vaccines - Undercover

Il bravo Alberto Lloy mi ha permesso di riscoprire i Vaccines, costante ost di questo periodo 


Goodwater Bus Stop

Tra i vari Genius Loci del Frignano, questo merita una menzione importante

Il giorno che tornerò a vivere a Maranello ci saranno alcune cose che mi mancheranno di Pavullo, per esempio i forni, i bar, i sentieri in mezzo ai boschi e gli oratori di montagna. Sopra alcune di queste mi mancherà la Bottega dell'Acquabuona, una drogheria di una volta, sempre aperta nemmeno fosse uno shop pakistano 24H di una grande città europea. Nonostante i prezzi non proprio a buon mercato, son solito andarci e ho preso a farlo in orari e in giorni precisi: al sabato mattina per prendere l'occorrente per il week end e la domenica sera quando il frigo lamenta carenza di birra. Ho scoperto infatti che è in questi momenti che non c'è quasi nessuno, condizione che non si verifica altrimenti, quando è più colma di un chicco d'uva.
Oltre a questo adoro frequentarla (lo so, è questo un verbo che s'addice più ad un locale ma me ne piglio la licenza poetica) d'inverno, quando fuori è scuro e freddo ed è da escludere completamente la presenza di piangiani o villeggianti che, subendone l'indiscutibile fascino, vi si fermano mentre vanno in/tornano dall'alta montagna. Sebbene io e il titolare ci rivolgiamo sempre un cordiale saluto, non abbiamo mai avuto modo di fare una partita a chiacchiere.

Succede che per-non-so-quale-motivo ci troviamo a parlare di pittura, di dipinti e di tele. È domenica sera, in mano ho due birre da 66 e sono vestito come il king degli scappati di casa. Fuori c'è freddo, tira vento ed è già buio da qualche ora; sembra d'essere in uno di quei film americani in cui il protagonista si ritrova in un diner in mezzo al nulla, il proprietario gli versa una tazza di caffè bollente e poi prende a ciacolare di argomenti del tutto improbabili, funzionali solo allo svolgimento della pellicola. Ora, immaginiamo che tutto questo venga coniugato nella parlata del Frignano e contestualizzato tra Sant'Antonio e Pavullo, in un'ansa di strada in cui nessuno si fermerebbe a quell'ora, se non chi (io!) ha bisogno di cigs&alcohol per scacciare i cattivi pensieri. Il proprietario, quasi sapesse di avere davanti un interlocutore la cui intelligenza arriva circa a 70, comincia a domandarmi se in casa abbia dei quadri, se mi piaccia la pittura, se sia interessato ad acquistare i dipinti di sua proprietà. È un soliloquio che sembra sceneggiato da una penna finissima, non c'è una pausa che non si possa dir scenica, non una parola ripetuta o dubbia, l'uomo della bottega va via dritto come un fuso, come se avesse già calcolato i miei tempi di risposta e conoscesse ogni mia possibile replica.

B:"Alla fine per i cinesi i quadri sono solo macchie di colore. Comunque, sono 3 euro e 60 di tutto, altro?"
Z:"No, a posto così. Grazie per la chiacchierata".
B:"Oh, non ci fare caso. Cosa possono valere le parole di un bottegaio alle sette di sera di una domenica qualsiasi?"

Poi, quasi lo script non potesse che concludersi così, pronunciata l'ultima parola ed esattamente un secondo dopo il punto interrogativo, entra una cliente che apre la porta, saluta il bottegaio e la richiude in fretta e furia, cacciando fuori il vento che cerca di insinuarsi in ogni antro. A pensarci una cosa molto Hateful Eight, ogni volta che entrano i viandanti. In quel preciso momento il droghiere cambia atteggiamento, riveste i panni del commerciante e mi strizza l'occhio, come a ringraziarmi per un momento prezioso che sembrava obbligato ma che aveva tempi di scena precisi, neanche fossero figli di un copione indovinato e rasente la perfezione.

Ascolto Consigliato: Noel Gallagher - (It's good) to be free

The little things they make me so happy


Il Grande Assente?

A Renno ci sono due cose degne di nota: il ristorante cinese Fortuna e la Pieve romanica.

È difficile spiegare alle persone non credenti il senso di tranquillità che pervade gli oratori, i santuari e le piccole pievi di montagna, ancora di più se nascoste in mezzo ai boschi: è un'atmosfera che nelle chiese di paese e città è andata persa, rimane soltanto nelle cappellette ricavate al loro interno, dove vengono celebrate le Messe feriali o "minori". Credo che l'ingrediente segreto sia il senso di solitudine e intimità, la cui ricerca è sublimata da quei momenti di puro e squisito raccoglimento personale ed emozionale che s'avvertono solamente in luoghi come questi, dove i banchi stretti e duri su cui genuflettersi in preghiera, le fiamme delle candele sferzate dagli spifferi di freddo, i sentieri da percorrere per arrivarvi, rappresentano una cornice tanto austera quanto pregiata, una cornice che rende il quadro di un incomparabile significato spirituale.
Poi facile che, come si dice in statistica, l'osservatore influenzi l'esperimento. Magari non è così ma è anche lecito supporre che "tutto faccia brodo", che anche la penombra all'interno quando fuori è tutto ammantato da una coltre di nebbia e il vento imperversa renda tutto più suggestivo.

Ascolto obbligato: CCCP - Madre

Come recita uno dei commenti su youtube: "Come far diventare religioso un miscredente per qualhce minuto"

C'è chi ha sintetizzato la fede designando Dio come "Il Grande Assente": teoria corroborata da qualsiasi notizia che riguardi la Chiesa, nel senso dell'istituzione secolare. Mi piace pensare che ci sia qualcosa di molto più intimo dietro, che non so come meglio definire se non facendomi aiutare da Severus Piton, "Il Principe Mezzosangue", che per inciso non c'è più. Un voto è come un incanto fidelius, fondamentalmente è un obbligo di azioni e di pensieri che ci si auto-impone: è nella fermezza del rispettarlo che si percepisce qualcosa di più potente e di più intenso, qualcosa che non può essere solo qui, una restituzione di umanità che tocca corde che albergano nel profondo.

Mah, forse il titolo più adatto sarebbe davvero stato "Ubi lux ibi tenebra".


Into the Wild

Pochi film mi hanno angosciato come questo

Penso sempre che bisognerebbe giudicare ogni cosa come se non fossimo noi a trovarci in una determinata situazione ma i noi stessi di cinque anni più tardi, io lo chiamo "Il vissuto prima".
Ciò comporta avere una lucidità d'analisi superiore, presume avere il cuore caldo ma mantenere la mente fredda. Cosa talmente complicata che la definitiva pace in Medioriente appare una prospettiva più plausibile.


Emmett Brown, in maniera più prosaica e più divertente lo definiva così.

Eppure può avere un senso anche fare il contrario, agire di pancia, senza pensare a cosa il noi più vecchio di cinque anni potrebbe dire al noi di oggi, a come potrebbe giudicarlo. E allora capisco, seppur partendo da molto lontano, cosa intendesse Christopher McCandless quando in Into the Wild pensava che:"La fragilità del cristallo non è una debolezza ma una raffinatezza", frase che m'è sempre rimasta in testa ma di cui non ho mai afferrato in pieno l'accezione.
Mostrare le proprie vulnerabilità può diventare un vantaggio, non sempre ma a volte è così.
Al lavoro ma anche nella vita di tutti i giorni è come se si creasse una cortina di fumo tra noi e le persone con cui v'è malcelata acredine, una disfida di orgoglio e di posizioni opposte. Tuttavia l'evento esterno che ha spostato le priorità della mia vita ha fatto sì che non dessi più peso a certe schermaglie, ed è diventato più facile scendere a patti, venire a Canossa, e accettare la sconfitta con tutto quello che ne consegue. Paradossalmente, ed è un sentimento sconosciuto a chi è abituato a riuscire e a farcela, un'imbarcata ridimensiona le aspettative ma allo stesso tempo trasmette forza e cognizione dei propri mezzi. Essere caduti in fondo alla boccia dà un punto di vantaggio perché tu lì ci sei stato, conosci il posto e hai preferito/sei riuscito a tornare indietro: in primis saprai come muoverti se capiterà di nuovo, in secondo luogo lavorerai di freno e motore quando saranno i tuoi dirimpettai a finirci dentro, quelle stesse persone di cui oggi hai vinto ogni tipo di soggezione, perché è come se ti avessero visto nudo e non gli potessi più nascondere nulla.
La morale è che chi è stato danneggiato è pericoloso: sa di poter sopravvivere.


Freccia è come Parigi: andarci è sempre una buona idea

I'm so happy 'cos today I've found my friends

Facebook ha adottato questa politica dell'Accadde Oggi, così ogni giorno si può rivedere quanto condiviso un anno prima: foto e pensieri. Preistoria moderna.
Fa strano per due ragioni.
La prima perché tra un anno Facebook non mi ricorderà quasi nulla di questi primi mesi del 2016, se non sporadici eventi come il bel pranzo da Freccia che assolutamente merita menzione.
La seconda è che nel guardare i post degli anni passati provo un senso di inquietudine, come se volessi a tutti costi afferrare quei ricordi, come se fosse possibile tornare indietro solo guardandoli, fare tabula rasa per evitare tutti gli errori che avrebbero pregiudicato il futuro. Eppure, anche se il pensiero rincorre la memoria, la realtà è che si sono consumate intere stagioni di esistenza senza soluzione di continuità: un ineluttabile loop di piani quinquennali.

Ascolto consigliato: Daughter - How

Gli Explosions in the Sky, my fav band, is back, e avrei preferito consigliare un qualche loro pezzo. 
Ho virato sui Daughter, band da #‎SB9_BNM2016‬: il giusto mix di orecchiabilità e pesantezza.


Prese di coscienza (2 di 2)
  • Come esistono i gradi di separazione, esistono anche quelli di preoccupazione. Vuole dire che  solo un'inquietudine più grande riduce quelle "ordinarie".
  • A certe persone va dato il peso che hanno e poi sperare di averci a che fare il meno possibile, specie se queste non hanno le benché minima idea di cosa m'abbia investito.
  • Il fatto è che si tratta di un percorso a ostacoli: superato uno se ne para davanti un altro. E allora vale il detto inglese:"If you're going through hell, keep going".
  • In condizioni difficili s'acuisce la sensibilità nei confronti dei propri affetti. Diventa importante sapere le persone care safe'n'sound: è un legame negativo ma scevro di ogni giudizio di valore.
  • Altresì vedere un caro amico che riesce nella dieta ed uno che trova lavoro diventa una soddisfazione enorme, come se fosse mia.
  • È demoralizzante quando qualcuno al telefono mi mette giù, promettendomi che mi richiamerà subito e poi se ne dimentica.
  • Mio padre mi ha guardato come si guarda un folle quando gli ho chiesto se la Serie A fosse finita. Forse ha capito che il fumo non stava girando nel verso giusto.
  • La vita è davvero una ruota che gira, sembra una banalità ma è così. Me ne accorgo negli attimi delle piccole/medie soddisfazioni personali ma anche in quelli di Schadenfreude, cosa pochissimo politically correct ma più che onesta intellettualmente.
  • Le energie mentali sono completamente prosciugate. Al Liceo potevo svegliarmi alle 4 di mattina per studiare, e fare così any given day. Ma tutto passava, era come se non fosse successo niente. Ora arrivo al venerdì che la mia vivacità intellettuale è al lumicino.
  • Certe cose passano come il mal di testa, che un secondo prima è la cosa più odiosa che ci sia e un attimo dopo non ci si ricorda neppure di averlo avuto.

Ascolto Consigliato: Kevin Morby - I have been to the Mountain


Un po' di leggerezza
Karma dispari



Esistono week end di merda ma ce ne sono alcuni che vanno oltre ogni limite, che sono come un gioco di specchi all'inverso, per ogni cosa positiva che può accadere ve n'è un'altra negativa che sta per rifletterla. Venerdì e sabati in cui non si vede l'ora di uscire e poi domeniche in cui si tirano le fila e, voltandosi indietro, si ha come l'impressione che la cosa migliore sarebbe stata barricarsi tra le proprie quattro mura e non mettere per nessuna ragione il naso fuori di casa, non parlare con nessuno, non rispondere a whatsapp, farsi i cazzi propri. Forse ha ragione Dave Ravera quando canta di voler emozioni deboli: a volte, anche se non sembra, è ciò di cui si ha bisogno.

Appello urbi et orbi: ditemi chi è il Blu di turno

Accendo la tv e trovo Radio Freccia. Fingo con me stesso di voler cambiare canale, che tanto l'ho già visto milioni di volte e saprei indovinare battuta dopo battuta. Poi mi siedo che cinque minuti posso anche perderli, quindi apro una birra che mica posso guardarlo senza accompagnarlo con una briscola vestita, dopodiché decido che vale la pena finirlo. Sebbene abbia sempre ritenuto il monologo finale un po' troppo inflazionato, mi scopro a piangere mentre lo sento per la centesima volta: lacrime spontanee per cuori semplici. Chissà poi perché. Non so, forse il lungo tramonto primaverile fuori o forse, più verosimilmente, il fatto di rendersi conto che quando il film uscì nelle sale ero un adolescente e percepivo tutte le traversie di Freccia e dei suoi compari come qualcosa di distante dal mio mondo e dalla mia vita, mentre ora i problemi e le maree che mi/ci colpiscono sono reali, sono più vicine e inesorabili.

Ascolto Consigliato: Paolo Conte - Bartali

E tramonta questo giorno in arancione e si gonfia di ricordi che non sai

Sarà che, come dice Santu, Ligabue con Radiofreccia si è redento di tutti i suoi peccati musicali ed ha imbroccato il modo migliore per descrivere non solo questa terra ma anche i suoi interpreti, rendendoli poi pietra di paragone della comune attualità, un'umana commedia che ora, più che mai, si coniuga perfettamente nella vita di tutti i giorni.

Te lo do io, il Lambrusco...

Exempli gratia, con i Linea di Rotturason stato a suonare ad una sagra di paese. Quando ormai era tutto finito mi sono diretto in bagno. Ho distintamente visto entrarvi una ragazza. Tuttavia la porta era socchiusa, ho tossito per avvertire della mia presenza e permettere alla fanciulla di organizzarsi come meglio credesse per accostare meglio l'uscio. M'accorgo che a sbrigare il compito è un ragazzo  (perché è lui a serrare la porta) e, invece che allontanarmi, stabilisco di appoggiarmi al muro, attendere i loro comodi e ascoltarmi lo spettacolo. Dopo qualche minuto in cui la mia vescica stava cominciando a prendere le sembianze del Vajont, i due morosi escono e non sono in grado di ingannare il mio ghigno. anche perché sanno benissimo di non poter aggiungere alcuna parola alla loro gag, le toppe sarebbero peggiori dei buchi
Mi sembra proprio d'essere come il Freccia del film quando, trovandosi in una situazione analoga alla mia, aveva fatto esattamente come me, o meglio: sono io ad aver fatto come lui. In questo caso la situazione non è drammatica come nella storia di Ligabue, al massimo quello che per i due ragazzi la notte sembra amore, ogni giorno diventa un errore ma mi piace pensare che sia una tenera amicizia che ancora non ha raggiunto una corretta definizione. E poi, come direbbe Mannarino:"Quant'è buono l'odore della gonna?"

La ragazza chiede al suo boy di tirarle su la cerniera della stanella, mi guarda e sentenzia:"È complicato essere donne". Già, lo è.
Tante care cose, ragazza mia.
Non riesco a distogliere gli occhi da loro mentre se ne vanno. Beh, a dire il vero avrei avuto bisogno di una visione marottiana perché lui è andato dritto dai suoi mates mentre lei è stata lesta nel prendere la via più lunga per ricongiungersi alle proprie amiche.


And on the sixth day God created MANchester (ma anche no)


Il pub preferito di Lad Andy

Luca che si perde al Bisonte. Luca che perde il biglietto aereo a Bergamo. Luca che appena fuori dal Mulligans fa amicizia con uno di Amalfi che dice d'essere andato via dall'Italia perché lo additavano come "uno della Marocconia". Le camere brutte, strette e fredde. Le due bistecche smaltite (forse) con un running destabilizzante lungo la main street di Manchester, sordida, sozza e fredda, squadrati dai locals mancuniani che ci guardavano come se fossimo alieni. Burnage, uno dei quartieri più di merda mai visti in via mia. Wonderwall suonata nel pub mentre io parlavo con il mio nuovo amico Andy della finale di Champions del 2005 (maledetto lui) e Berta veniva adescato da una milfona che avrebbe voluto a tutti costi maritarlo con suo figlia (e tutto questo perché aveva una maglia con su scritto Oasis). No Totti No party, mate! Una delle migliori full english breakfast di sempre. Berta che cerca un pub in cui vedere Milan-Juve poi se ne torna in camera perché:"Trasmettevano la boxe e poi la radio passava i Queen che sono inaffrontabili". Watch out your pockets, you know... they're scousers!  L'Hidden Gem (Peace be with you). Pizza Hat. La pioggia, la grandine, the Breeze. Essere nel cuore di una tormenta soprannaturale: io c'ero, e fidatevi, non ha mai piovuto così tanto. Aver visto tutte le stagioni circumnavigando i palazzi del centro. Le tende tirate in ogni dove dai fan dei Muse per il doppio concerto. L'antifiga. You break my heart! Il whiskey bevuto nell'unico bar ancora aperto di Manchester insieme a Berta mentre i pochi avventori intorno guardavano il golf. Aver pisciato all'Old Trafford. The Big Issue lo vendono veramente e lo vendono ancora. Aver realizzato troppo tardi che Market Street era praticamente di fianco al nostro hotel e che solo a Manchester se entri in un negozio di vestiti, ne esci con dei vinili (#urbanoutfitters). Corporation Street, Withy Grove and Exchage Square: guardare gli inglesi sfasciati al sabato sera e non capire come abbiano fatto a vincere due guerre mondiali e imporre la loro come lingua corrente. Essere comunque e sempre dei matti di merda. Il grigio del cielo e il giallo fluorescente degli stewards ovunque. I locali di Dantzic Street. il Lloyds Bar e la cougar bionda che ha brancato Luca tra le sue tette e le sue ascelle fetide. Delle brutte menate, vecchio! Ragazze vestite solo della loro fantasia (leggasi: "della voglia di scopare qualsiasi cosa respiri"). L'erba de "Il Teatro dei Sogni", così vera da sembrare finta. Com'è il clima a Manchester? Molto semplicemente è come a Sant'Antonio: un freddo becco, vento costante e nebbia omerica. Di tanto in tanto c'è il sole e tutto pare più bello ma solo perché le immagini tornano ad essere a colori, e un vago senso di ottimismo attraversa ossa e pensieri. La stordente sveglia alle 5 del mattino, sincronizzata sull'orario lavorativo. Le colazioni da Starbucks per accontentare la povera Silvia, la nostra indispensabile e straordinaria dama di carità. Il controllore dell'aeroporto che, vedendo la maglietta degli Oasis di Berta, fa finta di sparargli perché a lui fan cagare: una grande idea simularlo, in questi tempi di merda e con uno che somiglia ad Arda Turan.

We're woolyback

Il piacere di rivedere Liverpool, Concert Square e l'Albert Docks: come tornare a sfogliare pagine incollate di una mia vita precedente. Anfield e Craig detto Joe Carroll, vero protagonista di questa vacanza. La piazzetta antistante lo stadio, dove viene certificato che la partita è festa: tifosi che mangiano assieme, band che suonano, bambini che giocano a pallone. Entrare allo stadio non proprio da portoghesi ma circa-quasi. E che non si creda che è tutto oro quel che luccica, bensì che è tutto  il loro a farlo.

Ascolto consigliato: Placebo - English Summer Rain


English summer rain seems to last for ages

Ho pensato se fare del capitolo Manchester-Liverpool un cut-off, ossia un articolo a parte ma ho realizzato che sarebbe potuto sembrare come separare la farina della crusca, quando invece è stato uno continuum spazio-tempo.
Provo a spiegarmi con l'ennesimo flusso di coscienza degno del mio amico James Joyce ma con qualche articolo determinativo in più.
Tornare nella mia beloved english city e da lì spingersi verso la Merseyside, è stato come respirare a pieni polmoni tante delle cose che avrei voluto vedere da adolescente e che una decina di anni fa avevo solo sfiorato, e allo stesso tempo goderne a metà o solo in parte, come se comunque il cuore continuasse a battere dove la mente doleva, come se i pensieri per l'evento esterno non potessero venire arrestati da nulla. Battere le strade di Manchester inzuppato da capo a piedi, col vento che mi percuoteva la faccia, perdermi in una città che comunque sentivo mia, quasi ci fosse un senso di reciproca appartenenza, un rapporto ombelicale, è stata la perfetta metafora fisica di ciò che la vita mi ha e mi avrebbe riservato quest'anno, più di un cerchio che si chiudeva: un infinito di luci e ombre.

Ascolto consigliato: Wolf Alice - Blush

Curse the things that made me sad for so long
Yeah it hurts to think they can still go on
I'm happy now
Are you happy now?

Da Starbucks shazammo una canzone la cui melodia mi ipnotizza, ne leggo il testo e convengo come i Wolf Alice siano bravi sarti e abbiano cucito un vestito perfetto alla mia situazione.

A livello di sensualità della copertina siamo ai livelli di Is This It degli Strokes

Addizioniamo il fatto di ascoltare il pezzo right here right now e il gioco è fatto, può sembrare speculazione di basso conio ma, come Dublino è la città putativa di Miss Monni Mammi, così lo è per me Manchester. Fondamentalmente poco importa che appaia ostile per clima, maniere brusche e rudezza di base: anzi, è meglio così, perché una relazione senza scontro è stucchevole, non di certo sana, costruttiva e propedeutica. Insomma, prima o poi ci rivedremo, da pari a pari, magari in estate. Di certo la nostra storia non finisce qui.

Manchester, Cateaton Street by nite, di ritorno dal Mitre Cafe


Il più bel misunderstanding ogni epoca

Negli ultimi mesi l'evento esterno ha deviato ogni mio pensiero, per cui, come accennavo all'inizio, ho avuto poca voglia di scrivere sbabbelate di più di quattro righe su fb o sul blog. In generale ho avuto poca voglia di scrivere, così come di uscire. Ho recuperato tutto con questa enciclica.


Il successo è deformante: rilassa, inganna, ci rende peggiori, ci aiuta ad innamorarci eccessivamente di noi stessi. 
Al contrario, l’insuccesso è formativo: ci rende stabili, ci avvicina alle nostre convinzioni, ci fa ritornare ad essere coerenti.

El Loco Bielsa dice che nella vita non bisogna mai rallegrarsi troppo perché presto o tardi arriva la fattura: è assolutamente vero ma d'altro canto bisogna tener botta e fare tesoro delle lezioni di esistenza in essa contenute.

Sarà la melodia, saranno le parole ma questa canzone possiede l'immensa forza di pacificarmi il cuore

Tamen la vita è bella e ho una storia divertente da raccontare che muove da una ancora più bella.
Una sera rientro dalla mia abituale corsa, sono laddove l'Emilia Paranoica ha eletto il suo nuovo domicilio, ossia nei dintorni della famigerata scritta COOP a Maranello. Proprio lì incontro uno degli esseri umani più imprescindibili della scena medio-padana, un elemento che vedrò quattro volte all'anno e devo ancora capire se sono poche o se sono quattro di troppo: Lucagiblein. È a spasso col suo metalupo, un husky di Winterfell che ogni tanto, come Giannimorandi, butta giù lo sguardo e si mangia la prima merda che trova per terra.

La bravura di un fotografo sta nel cogliere l'attimo e, nel caso della posa di Lucagiblein, non poteva essercene uno migliore

Anche se sembra la sceneggiatura di uno sketch di Clerks, quel che segue è la mera trascrizione dei fatti
Z:"Oh, Gibbo, come va? Vedo sempre tuo padre in giro col cane!"
Lucagiblein che sa essere più ermetico di un poeta dell'800 o di un informatico nerz, mi risponde puntuale:"La femmina è incinta!".
Rimango interdetto, per quanto lo sappia curioso, non lo faccio uno da saloni di bellezza o negozi di fiori, né penso che la mia vita sia uno dei suoi argomenti forti quando è in compagnia dei suoi amici.
Rimbecca:"La cagna! È incinta!"
Non collego ancora, sono in un'acuta fase di non-ci-sto-capendo-un-cazzo, e penso solo che Zidane davanti ad un'affermazione simile è sbroccato e ci ha regalato il Mondiale del 2006. Ad ogni modo cerco di ritrovare il bandolo della discussione:"Sì, è così. Ma te come lo sai? Te lo ha detto l'Anna?"
L:"Cosa c'entra l'Anna. Lo so, si vede, no?"
Z:"Sì, per vedersi, si vede."
L:"Allora lo sai anche tu. L'hai vista?"
Sorrido perchè inizio ad avere una chiara sensazione di misunderstanding e rispondo:"Eh, sai com'è, la vedo sempre. Più che altro tu quand'è che l'hai vista?"
L:"A casa mia, no?"
Realizzo che i conti non tornano e, a costo di palesare di non aver capito un cazzo, me ne esco con:"Gibbo, scusa, ma tu di cosa stai parlando?"
L:"Della gravidanza! Aspetta sei cuccioli. Perché tu di cosa stai parlando?"
Z:"Ok, allora a meno che non siano cambiate le carte in tavola, non stiamo parlando della STESSA gravidanza!"


Marche e San Dalmata
Jukebox all'Idrogeno place to see and be seen

Prendo buona nota del viaggio nelle Marche con l'Ile, Berta, Mi e Annina.
Nonché aver rivisto, dopo troppo tempo, amici quali Tom, Baiso e Gav.

Ascolto consigliato così a caso:  Le Luci della Centrale Elettrica - I Destini Generali

E le parole di quel giorno mentre ti spogliavi in mezzo ai campi 
saranno argomenti più memorabili dei nostri lunghi abbracci 
nella calma che hanno a notte fonda i viali di Bologna


Trento & Lazise, once again

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Ascolto consigliato: Matze Knop - Numero Uno (Luca Toni)


Acqua minerale, grappa speziale, cozze e vongole


Linea di Rottura

Accatt' tutt'e cos!

La conclusione di una delle tre migliori esperienze musicali della mia vita. È stata durissima, in questi cinque mesi allucinanti, tenere fede all'impegno settimanale delle prove e ai (sebbene sol) due live. A metà Luglio incideremo un ep a mo' di ricordo e poi ognuno per la sua strada: io mi porto via il basso, Cawa (detto Matteo Salvini) è già pronto per il suo nuovo power trio, al Mariuolo di Spezzangeles Delgiu (voce, chitarra e synth) e ad Alfo il batterista dello spazio, auguro il miglior proseguimento possibile.
Maranello Rock è stato davvero divertente ma non posso che raccontarlo come ho fatto per Trento, ad hashtags. #scontoscianel #wonderwolf #mauriziolosa #fuckmyass #enjoyyoursilence #moseeeca #dyoboys #hairottoilcazzo #cacciatidallennesimolocale #larivincitadegliubriachi #labirintite

Ascolto consigliato:  Mokadelic - Doomed to live

Facimm ampress


First Day of sun

Tenere nota delle cose può avere funzione terapeutica, specie nel bel mezzo di un casino del '32, in un periodo in cui la lingua non batte più sul morbido, per rubare parole a Santu. Ripetersi certe cose può diventare un mantra positivo, accorgersi che le diverse strade degli amici hanno una direzione simile alla propria non è confortante ma accresce la comprensione, e la comprensione genera simpatia, nell'accezione inglese del termine.
Quando mi è stato confermato che quasi tutte le cose erano tornate in ordine, ho ripreso fiato e vena, e son riuscito a vedere il mondo con molta più serenità. Sono andato a bere una birra con qualche amico, ho realizzato che non c'è tregua, che è stata solo un'altra battaglia, che la vita ci prende a schiaffi sui denti, come Sandro ripete sempre. Ogni tanto però è anche bello chiudere qualche porta e provare a dimenticarle, quelle due o tre sberle.

Mentre tornavo a casa ho cercato un cd da ascoltare, il primo che mi capitasse tra le mani e ho pescato una mia personale selezione dei God is an Astronaut, band post rock che una decina di anni fa ero uso ascoltare senza soluzione di continuità. Certi ricordi si confondono tra loro e poi si perdono tra i meandri della memoria, per poi riprendersi la scena in determinati momenti, quasi fosse previsto che dovesse andare così. Adoravo questo gruppo e avevo trovato un'assonanza tra due loro canzoni, quasi le intendessi come due sorelle, una buona ed una cattiva; come direbbe il Mario di Guzzanti: Dottor Jekyll e Mister Aids. La prima, intitolata First Day of Sun, mi trasmetteva calma, tranquillità e fiducia; la seconda, chiamata Dark Rift, era più cupa e misteriosa. Il bello è che, trattandosi di pezzi strumentali, uno può immaginarseli e figurarseli come meglio crede, lasciandosi ispirare solamente dalle note e dalla musica.
Ebbene, quasi fosse un cerchio che non aspettasse altro se non di chiudersi, mi ricordo di tutto questo mentre risalgo l'Estense e la selezione sta passando proprio i due brani sopraccitati, non a caso messi in fila uno via l'altro.

Ascolto consigliato:  God is an Astronaut - First Day of  Sun 

Just listen

Non c'è quasi nulla di casuale a questo mondo se e quando uno è in grado di indovinare la sincronia degli eventi; come dico sempre: le coincidenze non esistono. E quindi non è assolutamente un caso che il cielo che copre la strada sia stranamente chiaro, leggermente illuminato dalla luna piena, la cui luce definisce i contorni delle nuvole del temporale appena finito. Appoggio gli avambracci sopra al volante e guardo in alto, proprio mentre le delicate frasi della chitarra solista cominciano a rincorrersi in un aggraziato crescendo fino a sgocciolare gli armonici in scala e le ultime note a chiusura.
La natura non ha bisogno di parole per spiegarsi, attende solo la colonna sonora migliore per farlo: ubi lux ibi tenebra.

Uno smisurato ringraziamento a chi mi è stato vicino e doverose scuse a quelli cui sono arrivati solo gli spricchi di tutta questa vicenda. Anche se Max giustamente non smette mai di ricordarmi che io costruisco castelli di preoccupazione per cazzate piccolissime, è stato meglio così, credetemi: ora le cose importanti sono ok.

That's all, folks.
Ad maiora!

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